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BMW Z4
Al volante della M40i

Alessio Viola
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La Z4 non cambia. Non può cambiare. Perché è così da sempre: cofano infinito, due posti secchi e un’innata predisposizione per tutto ciò che non è semplice mobilità. La spider BMW continua a essere il regno della guida, sottile ed antica arte che sta tra cuore e cervello capace di strappare un’automobile alla sua primaria natura di semplice mezzo di trasporto. Sono questi i motivi che mi spingono a dire che non è cambiata. Quando invece la Z4 del 2018, in realtà, è tutta nuova. Il reale carry over dal passato riguarda alcune componenti come il motore, il cambio e poco altro, ma questo non toglie che le novità, a tratti, abbiano addirittura il sapore della cesura. O del ritorno alle origini, scegliete voi. È il caso per esempio della capote, che dopo aver flirtato col metallo sulla seconda serie, stavolta torna alla sana tela. Sì, esattamente come sulla prima serie, quella firmata Bangle.

Ritorno al futuro. Per chi non lo sapesse, la lettera del nome sta per zukunft, che in tedesco significa futuro. Per onorarla, la Z4 coglie l’occasione per traghettarsi verso il domani della Casa in termini di cockpit e infotainment. Come sulla Serie 8, debuttano da un lato un i-Drive dove gli aspetti touch non hanno più il sapore dell’aggiunta fatta semplicemente per soddisfare le richieste dei clienti, dall’altro una strumentazione profondamente rinnovata, aggettivo che si riferisce sia al puro aspetto grafico sia all’impostazione logico-filosofica. Le due istanze vanno anzi a braccetto e il passo avanti in termini di fruibilità, efficacia e semplicità è evidentissimo. La cartina al centro del pannello e le logiche dei menu annessi rendono tutto semplicissimo e si tratta semmai di fare l’abitudine al contagiri con indicazioni antiorarie. Un elemento di secondo piano, senza dubbio, e finché lo trovi su una paciosa Suv come la Peugeot 3008 niente di male. Qui invece, dove tutto gira attorno alla guida, diventa distonico avvicinarsi alla zona rossa con una lancetta che si muove in senso contrario. Un dettaglio quasi sovversivo, per un nerd dell’automobile, ma che ovviamente nulla toglie alla sostanza, che rimane quella di una perfetta driver’s car.

Il piacere di ruotare il volante. In questo senso, l’impressione è di dirigere le operazioni da una posizione meno arretrata rispetto al passato, quando il sedile sembrava arroccato sulle ruote posteriori. Cosa che regalava sensazioni peculiari a ogni traiettoria, perché trasformava un cofano lungo in un cofano… sconfinatamente lungo. Anche oggi, comunque, la Z4 si muove in maniera peculiare, quasi sensuale, e ciò fa parte del suo fascino. L’approccio con le curve è parte integrante della gustosità di guida e far “piegare” il cofano sulla traiettoria è un piacere sottile che si rinnova ogni volta che ruoti il volante. E che non ti fa mai sembrare abbastanza piena di curve la strada. A tutto il resto pensa il motore, che nel caso di questa prima presa di contatto era il tre litri da 340 cavalli. Belli, pieni, disponibili. Morbidi e presenti quando si va a passeggio, diventano gagliardi e imperiosi quando si fa sul serio. In tutti i casi, esempio perfetto per dimostrare la compiutezza fuori dal tempo e dalle mode del sei in linea.