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Jeep Wrangler
Al volante di Rubicon e Sahara 2.2 turbodiesel da 200 CV - VIDEO

Roberto Ungaro
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E lei. Ma non è lei. Apri la porta squadrata, e leggera perché d’alluminio, e ti ritrovi su una seduta dritta, solida, essenziale. È la solita Jeep Wrangler. Volante sempre dritto, e vicino, e ciò che ti aspetti al suo posto. Ma ora è tutto rifinito, raccordato, impreziosito, connesso: è passata una mano che l’ha resa più auto, più curata, più confortevole. Ci sono cuciture a vista, plastiche morbide, visorino da 3,5” al centro e due strumenti circolari analogici per velocità e giri motore. Meno male…  Consolle centrale ricca, grossa, con metallo satinato e viti torx in bella vista. Visore principale da 7” o 8,4” dove c’è tutto e di più, touch screen e in alta definizione di una altra generazione. Bordato da una cornice gommosa, che continui a toccarla come un gioco antistress. Bocchette dell’aria tonde come prima, ma con cornice simil-metallo e affogate in una plancia satinata che, sulla Rubicon, ti dicono: "ehi, stai guidando qualcosa di speciale". Tanti vani portaoggetti e il cassettino centrale che ora non sbatte più (la chiusura è ammortizzata).

Tante novità. La nuova Wrangler è cresciuta, ha studiato, si è preparata ed è ora al passo coi tempi. Ha il parabrezza più inclinato (per un miglior Cx), ha il muso più stondato, fari a led (era ora…), nuovi motori e nuova trasmissione. È inedita al 100%. E si smonta come prima (porte, tetto, parabrezza), ma in meno tempo (stimato in 14 minuti). Sei sempre seduto alto, impugni un volante ciccione, domini. La linea della cintura più bassa ti dà più visibilità, sei meno oppresso, la ruota di scorta abbassata di 30 cm ti fa vedere meglio quando punti gli occhi sullo specchietto retrovisore. 

Meglio su ogni fondo. È più auto su asfalto, più 4x4 in off-road. Sembra un paradosso, eppure è così. La nuova generazione dell'icona Jeep non rinnega se stessa e fa un grosso passo in avanti in termini di guidabilità, confort e capacità arrampicatrici in fuoristrada. Grande merito è da imputare alla nuova trasmissione automatica a 8 rapporti (se ne facciano una ragione i puristi del cambio manuale, andato definitivamente in pensione), efficace, precisa e puntuale a intervenire dosando perfettamente la coppia. Ora, inserendo le 4 ruote motrici (operazione più facile e possibile anche in movimento fino a 72 km/h), lo sterzo rimane libero, preciso, e a fine corsa non ci sono più resistenze e saltellamenti spiacevoli. È più cucita addosso la nuova Wrangler (JL, imparate questa sigla), su asfalto fila via liscia, fluida, comunicandoti una sensazione di scorrevolezza sconosciuta alla precedente versione JK. È aumentato anche il passo (sia della due porte, che della quattro), la frenata è meno gommosa, e il 2.2 diesel da 200 CV risponde prontamente senza far rimpiangere i centimetri cubici lasciati in soffitta. Non c'è troppo quell’antipatico impennarsi dell’erogazione una volta dato l’affondo sul gas, tipico delle cubature piccole (in rapporto alla massa) che si trascinano dietro pesi importanti. Gran merito di questo, ripetiamolo, è dovuto alla trasmissione efficiente. 

Due anime. La versione Sahara, meglio rifinita, si avvicina a quello che potrebbe trasmettere un grossa Suv come percezione di confort abitativo degli interni. Come in precedenza, la versione a 4 porte è preferibile per precisione e stabilità direzionale su asfalto. Passando alla sorella Rubicon, più dotata per l’off-road, ci ha lasciato basiti per le sue qualità di scalatrice.

Inarrestabile Rubicon. Grazie allo sganciamento elettrico della barra stabilizzatrice e ai blocchi dei differenziali (anch’essi elettrici), consente di superare difficoltà a prima vista insormontabili. Fa tutto lei: tu dai gas e, con parsimonia, dosa la motricità all’occorrenza. Sulle prime, lascia un po’ così, perché non c’è un rapporto diretto tra quantità di acceleratore dato e spinta in avanti, ma poi capisci che lei centellina, dosa, parzializza quel serve e tu ti ritrovi come attaccato a uno skilift a risalire dei muri. La Rubicon sembra inarrestabile, “mangia” le asperità, copia il terreno, ballonzola di qui e di là, ma sui twist pare una marmotta che passeggia per boschi. Chapeau. Come prima, più di prima. Senza rinnegare un briciolo della sua unicità. Il mito ha ancora tanta strada davanti.