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Porsche 911
Al volante della Speedster

Alessio Viola
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La Porsche 911 Speedster sembra fatta apposta per aggredire le poche certezze che hai faticosamente messo in fila nel tempo. Tipo quella che, più o meno tre anni fa, ti aveva fatto giurare amore eterno alla 911 R, un concentrato di qualità stradali, fascino e sensazioni con poche rivali. Lei rimane lì, sacra e intoccabile, ma adesso che dall’Olimpo stanno scendendo i 1.948 esemplari della Speedster (a 277.384 euro l’uno) è impossibile evitare, non dico ripensamenti, ma almeno tentennamenti. Basterebbe la linea, l’impostazione e tutto ciò che i suoi lati life style, già da soli, sono capaci di dispensare. Un mix pazzesco, dove l’assenza del clima e del navigatore, il cambio manuale (e solo manuale) e la poca o nulla razionalità di una capote anch’essa manuale le regalano senso e la strappano alla sacrilega possibilità di considerarla una versione irrazionale della cabrio. D’altra parte la linea di demarcazione tra le due è netta e non si presta a interpretazioni: quella ogni tanto la apri, questa raramente la chiudi, non foss’altro che per avere sempre ben in vista quelle due gobbe sul cofano posteriore che più di tutto la caratterizzano. E che, da sole, basterebbero per decidere di volerla.

La prima su base GT. A completare il processo decisionale, ci pensano gli aspetti meccanici, perché questa è la prima Speedster che nasce su meccanica GT. Ciò la avvicina idealmente alla Speedster su base 964 del 1992 (che era un ibrido tra una Carrera normale e una RS) e, nella pratica, la rende un mix tra una 911R (sì, ancora lei) e una GT3. Il telaio è ancora su base 991, mentre il motore è il quattro litri aspirato portato da 500 a 510 cavalli a 8.400 giri. Per dare senso alla Speedster non c’è bisogno dell’adunata, però, perché anche passeggiare con un filo (o anche due) di gas è puro piacere: non ci sono spifferi strani neppure con i finestrini abbassati, il flat six rimane un tappeto musicale perfetto e l’unica cosa che desidereresti è una frizione più leggera e, soprattutto, dalla corsa più corta.

A tutto carbonio. Poi però le strade sarde dove la Porsche ha organizzato il test drive s’inerpicano verso l’interno e resistere in modalità bravi ragazzi diventa prima difficile e poi impossibile. L’attenzione per il peso ha contenuto la massa in 1.465 chili grazie anche all’utilizzo della fibra di carbonio per molti pannelli esterni, dai parafanghi anteriori all’enorme coperchio posteriore della capote (che, alla Porsche ci tengono, è l’elemento più grande che abbiano mai realizzato con tale materiale) e capisci subito che la Speedster, su questi percorsi, è nel suo. L’avantreno fa amicizia con ogni genere di curve, i cambi di direzione sono aiutati dalla presenza delle quattro ruote sterzanti e i carboceramici attaccano un filo morbidi, ma hanno poi una potenza sconcertante. Il tutto, accompagnato da un assetto che riesce a digerire senza problemi le imperfezioni della strada, anche nella modalità più rigida, che non è per nulla estrema.

Sfiora i 9.000 giri. Tutto sembra possibile, con lei, e a rendere più brevi le distanze tra le curve ci pensa il quattro litri aspirato. È talmente pieno sempre che sulle prime ti perdi il bello, perché fai l’errore di cambiare sui 6.500/7.000. E già così vai velocissimo. Poi però ti accorgi che il più delle volte puoi passare da una curva all’altra con una cambiata in meno, perché l’allungo è infinito e puoi insistere oltre ogni immaginazione. Il crescendo è pazzesco e prosegue, senza cali, oltre il regime di potenza massima: il limitatore taglia appena prima dei 9.000, con decibel, sensazioni ed emozioni che si rincorrono. Un tono un po’ più urlante del flat six non ci sarebbe stato male, ma è forse questione di gusti personali. E per questo stesso motivo eviterò di aprire la disputa manuale/automatico a proposito del cambio. La tesi ufficiale dei progettisti è che sarebbe imperdonabile aumentare il peso di 17/18 chili, ma quando fai notare loro che quella massa ti ripagherebbe con gli interessi in termini di efficacia di guida, spostano il discorso su aspetti meno ingegneristici. E in effetti ci sta: quando vai piano quella leva è inutile, ma quando vai forte si carica di un sapore notevolissimo. Ha una precisione spettacolare che, unita alla capacità di accettare tutto e non rifiutarsi mai, trasforma ogni scalata con doppietta in un piccolo universo di piacere. Disponibile per tutti: con la funzione Autoblip, l’elettronica fa in automatico ciò che i guidatori analogici fanno da sempre armeggiando sui pedali.