Daihatsu
Si allarga lo scandalo dei test di sicurezza
Lo scandalo della falsificazione dei test di sicurezza da parte dei costruttori giapponesi si allarga con le accuse del ministero dei Trasporti a Toyota, Honda, Suzuki, Mazda e Yamaha: secondo le autorità, le Case avrebbero manipolato le certificazioni necessarie per ottenere le autorizzazioni alla produzione di veicoli a due e a quattro ruote.
L'inchiesta. La vicenda affonda le sue radici nella primavera dell'anno scorso, quando la Daihatsu ammise di aver "truccato" i test di migliaia di auto, per lo più prodotte per conto della sua controllante Toyota. Lo scorso gennaio è intervenuto anche il governo, il quale ha imposto lo stop totale alle attività produttive e avviato un'ampia indagine per verificare la conformità delle procedure di certificazione alle normative nazionali: l'inchiesta è arrivata a coinvolgere gran parte delle aziende nipponiche operanti nella produzione di veicoli e ha portato alcune società a denunciare dei casi di frode interna. Ora, il nuovo capitolo: il ministero, in seguito alla scoperta di dati errati o manipolati nelle pratiche, ha imposto ai cinque costruttori di sospendere la consegna di diversi modelli, fino a quando non saranno completate le opportune verifiche e le conseguenti ispezioni all'interno delle fabbriche.
Le auto coinvolte. Per ora, la Mazda ha comunicato di aver riscontrato irregolarità sia in modelli fuori produzione (Atenza e Axela assemlate, rispettivamente, fino al 2018 e al 2019), sia in vetture nel pieno del loro ciclo di vita: si tratta di Mazda 6, Mazda 2 e della Roadster RF. Per la Toyota, lo scandalo riguarda sette modelli, di cui quattro non più in commercio (Crown, Isis, Sienta e Lexus RX) e tre ancora in gamma (Corolla Fielder, Corolla Axio e Yaris Cross). Per la Honda i modelli osono rmai tutti fuori produzione: CR-Z, Fit (Jazz), CR-V e NSX, mentre per la Suzuki le irregolarità interessano solo le Alto prodotte tra il 2014 e il 2017.