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BMW X5
Al volante della nuova generazione

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Correva l’anno di grazia 1999 quando la BMW presentò la X5, cogliendo di sorpresa i fedeli a una concezione ultratradizionalista del marchio. E molti, fra questi, preconizzarono lugubri un futuro zeppo d’inciampi e pubblici ludibri per il modello progenitore dell’inaudita categoria dei Sav (sport activity vehicle): a Monaco, consigliarono i puristi, si concentrino piuttosto sulle sportive a trazione posteriore e motore longitudinale, lasciando certe divagazioni spurie un po’ off-road ai tipi strani della Land Rover (che all’epoca, anche se quasi tutti se lo sono dimenticati, apparteneva per l’appunto alla BMW). Come spesso succede in questo campo, la storia ha dimostrato altrimenti. Non soltanto la X5 va considerata una pietra miliare dell’automobile, avendo di fatto inaugurato una categoria di compromesso che oggi sta diventando (se non lo è già) lo standard, ma si è velocemente trasformata in uno dei cardini dell’offerta bavarese, con volumi di vendita che smentiscono a priori la sola idea di una macchina di nicchia: in poco meno di 20 anni, ne hanno piazzate in giro per il mondo 2,2 milioni (tantissime, visto il posizionamento non proprio proletario). E il suo successo ha alimentato la convinzione che, in BMW, un universo parallelo X poteva e doveva nascere, alla faccia degli scettici nostalgicamente legati alla tradizione: oggi quell’universo è il core (all’inglese, non alla romana) del marchio, con una gamma che spazia dalla X1 (la BMW più venduta in Italia, per dire) alla X2, dalla X4 alla X6 per arrivare all’imminentissima X7 (più in là ci sarà anche una X8, anche se a Monaco negano). In mezzo a tale panoplia di sport utility si piazza la X5 della quarta generazione, e lo fa imboccando una strada inaspettata: i valori di confort, prestazioni, potenzialità dinamiche all round e ragionato lusso rimangono gli stessi, ma prendendo un po’ tutti in contropiede gli strateghi tedeschi hanno deciso di porre l’accento – udite udite – sulle capacità fuoristradistiche pure, fors’anche per distinguersi da una concorrenza (vedi Porsche e Alfa, in primis) che sulla sportività della guida ha incardinato i propri progetti.

Doti da 4x4 vera. Certo, non è chi non veda la bizzarria di tale indirizzo, considerata la natura del modello e la sua eleganza, per quanto decontractée. Si fatica infatti a pensare a un cliente X5 che vada a cercarsi problemi nella natura, rischiando di compromettere l’incolumità della levigata carrozzeria fra frasche e ruscelli, ma tant’è: ora la X5 è, oltre a tutto quello che è sempre stata, una 4x4 vera, con un pacchetto off-road optional che ne innerva le inusitate ambizioni extra asfalto, dalle sospensioni pneumatiche (che consentono di regolare a piacere l’altezza da terra) ai quattro settaggi secondo il terreno da affrontare, oltre all’hill descent control. Per dimostrarcelo, la Casa ci ha portato nelle campagne vicino ad Atlanta, in Georgia (vi presentarono la prima serie, probabilmente hanno ritenuto essere la replica di buon auspicio), dopo aver stabilito un accordo con Giove pluvio per rovesciarci addosso temporali monsonici a scrosci regolari e così ridurre in modo drammatico l’aderenza su rocce a fango. Test superato alla grande. Nonostante le condizioni al limite e la gommatura estiva, la X5 non ha fatto un plissé, evidenziando capacità inaspettate, viste altresì le dimensioni ulteriormente lievitate (36 mm in più di lunghezza e ben 42 mm di passo), anche per allontanarsi da una X3 sempre più premium per stazza e posizionamento.

Tante novità. È il segno, questo, di un lavoro oltremodo complesso e che introduce una lunga serie di novità, a dispetto di linee tutto sommato abbastanza simili a quelle della serie precedente. Oltre all’architettura Clar (che servirà da base anche per la nuova Serie 3 che vedremo al Salone di Parigi), con tutti gli ammennicoli migliorativi ormai irrinunciabili a certi livelli (sterzo a taratura variabile, differenziale posteriore a controllo elettronico, barre antirollio attive, retrotreno sterzante, automatico a 8 marce) e una gamma motori che pesca fra il meglio del marchio (noi abbiamo guidato il sei cilindri turbodiesel tre litri da 265 e 400 CV; i benzina, per quanto interessanti, da noi sono capricci balzani), la X5 è tutta nuova a livello di interfaccia con l’umano al volante, introducendo soluzioni e tecnologie che man mano saranno adottate dalle sorelle.

Tutto digitale. Oltre agli aggiornamenti over the air, geniale intuizione di Elon Musk ora seguita da tutti, appare sulla plancia un apparato di controllo che, se dal lato infotainment va considerato l’evoluzione del sistema precedente (rimane il classico iDrive), dall’altro dice definitivamente addio alla strumentazione a doppio strumento circolare con fondo arancione che ha fatto la storia della BMW. Il cockpit è ora digitale, configurabile a piacimento, ma – spiace dirlo – meno personale di prima e, se ci è consentita una critica che susciterà le solite polemiche, meno spettacolare del Virtual cockpit di quelli di Ingolstadt. Ovvio, si tratta di appunti puramente estetici (così come alcune cafonate buone per i mercati asiatici come il pomello del cambio in cristallo, per fortuna optional) che non incidono sulle eccellenti qualità complessive dell’automobile. La X5, guidata per centinaia di chilometri sulle Interstate della Cotton belt, ancora una volta ha sottolineato un livello dinamico di gran calibro, anche in merito ai sistemi di ausilio elettronico alla guida (la taratura è in alcune condizioni un filo brusca, però) ormai ufficialmente a livello 2. Piaccia o meno agli amanti della bella guida, l’efficacia degli Adas – al di là della loro mera presenza, che va data per scontata – è destinata a diventare un elemento dirimente per la scelta di tantissimi automobilisti. E ciò vale anche per quelle Case, come appunto la BMW, storicamente legate alla perfezione delle istanze dinamiche.