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Formula 1

PILOTI
Tazio Nuvolari

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Tazio Nuvolari, un nome che evoca la leggenda dell’automobilismo sportivo. Sfuggito miracolosamente alla morte in più occasioni durante corse rocambolesche, le sue gesta vengono oggi raccontate come fossero quelle di un eroe senza tempo. Il suo ricordo è immortale: gli sono state dedicate statue, poesie e canzoni. La gente lo amava non solo per il suo coraggio, ma anche per il modo in cui affrontava le sue sventure personali. “Senza far rumore”, come gli era stato insegnato fin da piccolo.

Le origini del mito. Tazio Nuvolari nasce nella Mantova di fine Ottocento in una famiglia benestante, completamente dedica al ciclismo. Il padre Arturo e lo zio Giuseppe erano diventati celebri per aver dominato la riunione ciclistica internazionale di Nizza del 1983, quando Tazio aveva poco meno di un anno. Il piccolo Nuvolari cresce con la passione per le due ruote, ma con un piccolo particolare in più: adora quelle motorizzate. Durante la Prima Guerra Mondiale viene assoldato come autiere, ossia addetto alla guida di autoveicoli per il trasporto di persone o di materiali. Nel 1917 sposa Carolina Perina, ma lo fa con il solo rito civile: una sorta di scandalo per l’epoca.

Le prime gare. Il debutto nelle gare di moto per Tazio Nuvolari arriva nel 1920, ma finisce con un mesto ritiro. Il mantovano non disdegna le corse in auto e si divide tra le due e le quattro ruote, dimostrando di saperci fare con entrambe. Una delle sue vittorie più rocambolesche è proprio di quegli anni. Nel 1924 è alla guida della sua Bianchi Tipo 18 sul circuito del Tigullio, perde uno pneumatico e cappotta in un fosso. Lui ne esce praticamente illeso, mentre il meccanico che era con lui è visibilmente stordito dalla botta. Nuvolari si fa aiutare dalle persone presenti per rimettere in carreggiata la vettura e dopo averla riparata alla carlona, riparte... e vince. Arriva sul traguardo con l'auto senza seggiolino di guida né volante, sostituito con una chiave inglese, e il suo meccanico svenuto al suo fianco. È un satanasso che non ha paura di niente, lo chiamano il mantovano volante e, in effetti, sembra che voli.

Nasce la Scuderia Nuvolari. Nel 1926 è protagonista di un brutto incidente sul Circuito di Solitude e torna in Italia malconcio, tanto da subire degli strascichi che lo costringono a saltare il Tourist Trophy. Nel frattempo, il richiamo delle corse in auto è sempre più forte e nell'inverno del 1927 Nuvolari decide di dar vita alla propria squadra per disputare i vari eventi. Per finanziarsi, vende un podere ereditato dal padre e acquista quattro Bugatti di cui due a sua disposizione e le altre cedute ad Achille Varzi e Cesare Pastore. L'avventura – che durerà solo qualche anno - inizia con due vittorie, la prima al Gran Premio di Tripoli, che segna anche il suo primo successo internazionale, e l'altra al Circuito del Pozzo a Verona. Quell'anno corre anche la Mille Miglia, dominando il primo tratto di gara, ma conclude solo sesto.

Talento spericolato. Le storie su di lui diventano velocemente leggenda. Nel 1930 l'Alfa Romeo lo ingaggia per affiancare Varzi e Campari: Nuvolari prende parte alla Mille Miglia di quell'anno al volante della 6C 1750 e ingaggia un duello serrato proprio con Varzi. Arrivati nei pressi di Peschiera del Garda, Nuvolari fa credere al rivale di aver avuto un guasto e spegne i fari della sua Alfa, seguendo le luci di coda della 6C gemella, salvo poi superarlo di sorpresa e conquistare la vittoria della gara. Un mese più tardi, Varzi si prende la rivincita trionfando alla Targa Florio, con Nuvolari solo quinto per un problema tecnico. Nuvolari corre per la Scuderia Ferrari dal 1930, quasi sempre su Alfa Romeo. “Amici e nemici, concorrenti e fratelli” dirà di lui Enzo Ferrari. Nel 1931 segna un'altra delle sue prodezze sul circuito delle Tre Province: dopo aver superato un passaggio a livello a tutta velocità, rompe la molla di richiamo dell'acceleratore della sua Alfa Romeo 1750. Nuvolari non si arrende e continua a guidare controllando sterzo, freno e frizione mentre il suo meccanico regolava l'acceleratore tramite la cintura dei pantaloni fatta passare attraverso il cofano. E vince con circa trenta secondi di vantaggio davanti a un incredulo Enzo Ferrari. Praticamente già entrato nella leggenda, nel 1932 viene invitato da Gabriele D'Annunzio che gli fa dono di una piccola tartaruga d'oro con la dedica "all'uomo più veloce l'animale più lento". Da quel giorno, la tartaruga diviene il suo portafortuna e Tazio decide di farsela cucire a destra sul petto nella divisa ufficiale. Perde entrambi i figli, morti di malattia. Nuvolari è una maschera triste e anche per questo la gente lo ama ancor di più. Sembra imbattibile, è tenace, non molla mai. Con l’arrivo delle vittorie internazionali diventa sempre di più orgoglio italiano.

Orgoglio italiano. In quegli anni diventa campione antesignano della futura Formula 1.  Al Gran Premio di Germania, sulla lunga pista del Nürburgring Nordschleife, Nuvolari riesce a vincere nonostante un'inferiorità manifesta della sua Alfa Romeo contro le tedesche Mercedes Benz e Auto Union. All'inizio dell'ultimo giro - di 22 km - ha un ritardo di 30 secondi dal primo. Riesce miracolosamente a recuperare e vincere la gara lasciando i gerarchi nazisti presenti delusi e stizziti a tal punto da negare al pilota la sua bandiera per festeggiare. Nuvolari ne tira una fuori dalla tasca: se l’era portata da casa.

Il lungo addio. Il 10 aprile del 1950 partecipa alla Palermo - Monte Pellegrino a bordo della Cisitalia 204A Abarth Spider, conquistando la quinta posizione e la vittoria nella classe 1100 cc Sport: è l'ultima gara e l'ultima vittoria, a 58 anni. Tazio Nuvolari non annuncia mai formalmente il suo ritiro dalle corse, ma le sue condizioni di salute andavano peggiorando e si allontana gradualmente dall’ambiente corsaiolo. Non era uno da cerimonie, perché diceva sempre "I Nuvolari non fanno rumore". Nel corso della sua lunga carriera colleziona 69 vittorie in moto e 92 in auto. Una continua sfida alla morte che riesce sempre a vincere, almeno in pista. Perché nel 1953, Tazio Nuvolari muore stroncato da un ictus. Per sua volontà, viene sepolto con addosso i suoi abiti da corsa: l’inconfondibile maglioncino giallo con il suo monogramma, i pantaloni azzurri e il gilet di pelle marrone. Ai suoi funerali partecipano migliaia di persone e la sua bara viene scortata fino al cimitero monumentale di Mantova dai colleghi Ascari, Villoresi e Fangio. Sulla sua lapida campeggia la scritta “Correrai ancora più veloce per le vie del cielo”.