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Diario di bordo

Volvo V40
Una settimana con la D2 Momentum 120 CV

SFOGLIA LA GALLERY

La protagonista del Diario di bordo di questa settimana è la Volvo V40 D2 Momentum, a listino sul nostro mercato a partire da 28.450 euro. In particolare, l'esemplare in prova è dotato di cerchi di lega da 17" pollici con disegno Spider Diamond Cut (720 euro) e di cristalli laterali e vano bagagli oscurati (400 euro). Inoltre, la compatta della Casa svedese è equipaggiata con i pacchetti Business Connect Pro e Intellisafe Pro. Il primo costa 2.550 euro e include comandi audio al volante, Sensus Connect con High Performance Sound Sensus Navigation, Park Assist posteriore e sistema Volvo On Call. Il secondo, a listino a 2.470 euro, comprende Adaptive Cruise Control, Blind Spot Information System e Driver Alert System.

Day 1. Sono stato un volvista. Nella mia carriera di automobilista c’è stata una 940 Station Wagon Super Polar. Che aveva un solo difetto: non essere una 245 Super Polar. Cosa che, dopo 14 anni di onorata carriera, le è costata l’onta della cessione per un pugno di euro; altrimenti, fosse stata la classica Volvo (magari turbo) che di colpo nei primi anni 80 ha trasformato le giardinette da lavoro in station super cool, farebbe ancora la sua figura nel mio garage. E, così, con spirito da ex volvista, mi sono messo al volante della V40 D2, per cercare di capire che cosa sia questa nuova Volvo. Non una station, perché le capacità di carico delle Volvo di una volta, squadrate che più non si poteva, se le sogna. Però, di sicuro, anche lei è cool, in fatto di design. La prendo per una sgroppata di 400 e passa chilometri in un giorno e la trovo comoda e sicura. Per forza, direte voi, è una Volvo, sicura deve esserlo per definizione. Sì, ma quello che un tempo si traduceva in pesante acciaio svedese, adesso ha l’impalpabilità dei microchip: allarmi per l’uscita involontaria dalla corsia, per la distanza dall’auto davanti un po’ troppo ridotta, per la presenza di altre macchine nel maledetto angolo cieco degli specchietti. A mancare, su questo esemplare, mi sembra soprattutto il cambio automatico, che poi si chiamerebbe Geartronic: lo rimpiango per le strade di Torino, azionando la leva un po’ legnosa di quello manuale e premendo il pedale duretto della frizione. Lo Start&stop, poi, è ipersensibile: spegne il motore alla minima occasione. D’accordo che per raggiungere gli irrisori consumi dichiarati serve anche quello, però, nel traffico, è tutto uno spegni-accendi-spegni che finisce per innervosire… E i cavalli? 120, ormai, non sembrano molti, per un 2 litri turbodiesel di ultima generazione (tant’è vero che in listino ci sono anche la D3 da 150 e la D4 da 190). Però bastano per viaggiare a belle andature autostradali, senza soffrire più di tanto. Salvo dover scalare marcia quand’è il momento di riprendere in sesta, perché altrimenti si rischia di dover lasciar passare qualche chilometro di troppo prima che l’andatura torni a crescere. Emilio Deleidi, redazione Inchieste

Day 2. Dopo aver ammirato e provato le spettacolari Volvo del nuovo corso, ovvero la XC90 e la V90, torno sulla “vecchia” V40. Che è solida, sobria e razionale, nella migliore tradizione dei modelli di Göteborg, ma non ha il fascino delle sorelle maggiori. Però basta accomodarsi sul sedile per trovarsi a proprio agio: la seduta avvolge e sostiene efficacemente il corpo, come al solito sulle Volvo, mentre i comandi sono intuitivi e ben dimensionati. In un attimo abbino il cellulare al vivavoce, invece l’impostazione della destinazione sul navigatore è un po’ più laboriosa perché si devono selezionare le lettere tramite una manopola: lo schermo, infatti, non è touch e anche la grafica della mappa è un po’ datata. Azzerato il computer di bordo metto in moto: la voce baritonale del diesel di due litri sviluppato dalla Volvo quando ha divorziato dalla Ford, e che dal 2015 ha sostituito il precedente 1.600, si fa sentire forte e chiara, più di quanto mi aspettassi. Una volta in marcia, si manifesta una certa pesantezza dei comandi, dallo sterzo alla frizione, come se si volesse sottolineare a chi guida la proverbiale robustezza delle Volvo. Solidità che risalta anche dalla disinvoltura con cui la vettura affronta le sconnessioni dell’asfalto: il rumore delle sospensioni è ovattato e non s’avvertono vibrazioni e risonanze della scocca. I proiettori a Led illuminano efficacemente la tangenziale e a velocità di crociera il confort è elevato: il diesel gira rilassato e sornione e i fruscii aerodinamici sono ridotti al minimo grazie alle guarnizioni delle porte disposte lungo i bordi, come è d’uso sui modelli più recenti. L’affondo del gas in terza per immettermi in autostrada genera una spinta adeguata, ma che si esaurisce rapidamente, visto che i 280 Nm del due litri vengono erogati già a 1.500 giri e il picco dei 120 cavalli si raggiunge a soli 3.750 giri. D’altronde, quella della D2 è la configurazione di base del propulsore, che è lo stesso per tutte le Volvo a gasolio ed è gemello del benzina, anch’esso sviluppato in casa: giocando sulla sovralimentazione, dai suoi 1969 cm3 i tecnici svedesi ricavano fino a 235 CV e 480 Nm. Ma questa versione top è riservata alle S90 e V90, sulla V40 si arriva al massimo ai 190 cavalli della D4. Magari le prestazioni non sono da dragster, ma in compenso la D2 consuma poco: arrivato a destinazione dopo il solito percorso misto tangenziale/autostrada/città, con un paio di affondi e il resto di guida normale (ma con Start&Stop disattivato) il computer di bordo indica 5,4 litri/100 km. Roberto Boni, redazione Prove/tecnica

Day 3. Anch’io sono stato volvista come il collega Emilio Deleidi: ho goduto dei favori di ben due station wagon, ma cosa dico due station wagon, le madri di tutte le familiari, la 240 e la 740. E ancor oggi le considero auto inarrivabili per i loro tempi, che hanno fatto scuola per la sicurezza e la praticità di alcune soluzioni poi copiate da molti altri. I sedili, per esempio – ma forse già lo sapete – sono ancor oggi ritenuti i migliori per postura e comodità. Certo, su questa V40 gli anni sono un po’ passati e qualche aggiustamento ci vorrebbe, ma il feeling che si prova una volta seduti a bordo è esattamente quello delle altre cugine svedesi. Lo sento dalla finitura dei comandi, dalle grafiche, dal rumore degli indicatori di direzione. Insomma, sono a casa. Dove non mi riconosco è nella manovrabilità del cambio e nella risposta del motore, che ha un’allungo davvero modesto, anche per una diesel. La sensazione generale, però, è quella di un’auto desiderabile e robustissima. Desiderabile perché il disegno e lo stile sono originali e a me piacciono le auto un po’ diverse dal “mainstream”, robustissima perché... è una Volvo, ma soprattutto per il rumore che fa una porta sbattendo, per come si chiude il vano portaoggetti, per il feedback delle levette sul volante. Nonostante ciò, sento che in marcia è pesante e forse il D2 non è il motore ideale per portarsi a spasso questi 15 e passa quintali di puro acciaio svedese. A proposito, sapete perché la Volvo si chiama così e come mai il suo simbolo è quella specie di cerchio con la freccia rivolta in alto a destra? La prima risposta è facile: la Volvo nasce come costruttore di cuscinetti a sfere volventi... La seconda un po’ meno, ma Wikipedia ci viene in aiuto: il simbolo è quello utilizzato in astrologia per indicare il pianeta Marte, Dio della Guerra (uno scudo e una lancia) e nelle antiche scienze d’alchimia rappresentava il ferro. Dato che con il ferro gli svedesi ci sanno fare, ecco scelto il logo. La barra diagonale sul radiatore, invece, non faceva parte in origine del marchio, ma serviva solo per tenerlo fermo al centro. Poi, col tempo, è diventata il trademark di tutte le auto di Göteborg. Carlo Bellati, redazione WebTV

Day 4. Può piacere o meno, ma è indubbio che le linee della Volvo V40 siano originali. D’altra parte essere una voce fuori dal coro è da sempre una delle peculiarità del marchio, accanto alla proverbiale robustezza. Gli interni sono semplici e razionali, anche se datati in alcuni dettagli. Per esempio lo schermo del sistema infotainment non è touch e nell’era dei comandi vocali i tasti fisici del telefono nella plancia centrale sono decisamente superati. Per il resto l’ambiente restituisce un’atmosfera di sobrietà e solidità. Si viaggia in posizione leggermente ribassata, su sedili comodi e avvolgenti. Almeno davanti, perché sul divano posteriore lo spazio è centellinato. Macino il centinaio di chilometri giornalieri - tra tangenziali e autostrade - che mi separa dalla redazione in totale relax e senza fastidiosi contraccolpi alla schiena, sfruttando appieno il cruise control adattivo, grazie al quale la vettura si “aggancia” a quella che precede (tramite un radar) accelerando e rallentando in funzione del traffico: per rappresenta me una delle invenzioni del secolo! Gli unici segni di affaticamento arrivano dal cambio manuale che tende spesso a opporre resistenza e dal pedale della frizione. I montanti anteriori sono un po’ ingombranti e limitano la visibilità, così come il piccolo lunotto posteriore a causa del quale i sensori di parcheggio diventano indispensabili. Ottimo, invece, l’angolo di sterzata che consente di fare manovra agevolmente anche in spazi angusti. Eccezionali i consumi: al termine del mio viaggio il computer di bordo segna una media di 5,2 litri per 100 km in modalità “Eco” (che sale ovviamente se si seleziona il settaggio “Sport”), ossia oltre 19 km/l. La Volvo V40 offre numerose possibilità di personalizzazione; può essere configurata in nove allestimenti differenti: Base, Kinetic, Kinetic “eco”, Volvo Ocean Race, R-Design Kinetic, Momentum, Momentum “eco”, R-Design Momentum e Inscription. Tutti possono essere equipaggiati con motorizzazioni diesel o benzina e abbinati a trasmissioni manuali o Geartronic. I prezzi di listino partono da 23.150 euro della versione base 1.900 a benzina con cambio manuale, per arrivare a 38.940 della top di gamma spinta dal propulsore T5 da 245 CV accoppiato all'automatico otto rapporti. Roberto Barone, redazione Internet

Day 5. Appena a bordo della Volvo V40 ritrovo subito quella sensazione da Premium che contraddistingue le auto della Casa svedese. Ciò che mi lascia un po’ perplesso è l’impostazione un po' "fuori moda" della console centrale, con il display del sistema d’infotainment (non touch) un po’ troppo piccolo e, più sotto, i tasti fisici del telefono, circondati da altri: una disposizione che risulta essere molto meno intuitiva rispetto a quella dei più recenti modelli di Göteborg. Anche in marcia nulla da eccepire per quanto riguarda il confort di bordo, grazie a una buona taratura delle sospensioni, che assorbono al meglio tutte le asperità del manto stradale, e all'eccellente insonorizzazione. Terminata la città e imboccata la statale, sono curioso di mettere alla prova il Cruise control adattivo e il Lane Keeping, dopo l'ottima esperienza al volante della Volvo S90 dotata del Pilot Assist. Qui siamo ovviamente un gradino sotto l'ammiraglia, equipaggiata con tutti i migliori sistemi di ultima generazione, ma ho comunque trovato i dispositivi di questa V40 ottimi per la sicurezza in marcia. Una volta impostata la velocità, non solo frena e accelera da sola, mantenendo la corretta distanza dal veicolo che precede, ma è anche in grado di effettuare piccole correzioni sul volante quando ci si avvicina alle linee di careggiata, evitando così involontarie uscite di strada o invasioni di corsia, in caso di distrazione o colpi di sonno. Alessandro Carcano, redazione Internet

Day 3 - Anch’io sono stato volvista come il collega Emilio Deleidi: ho goduto dei favori di ben due station wagon, ma cosa dico due station wagon, le madri di tutte le familiari, la 240 e la 740. E ancor oggi le considero auto inarrivabili per i loro tempi, che hanno fatto scuola per la sicurezza e la praticità di alcune soluzioni poi copiate da molti altri. I sedili, per esempio – ma forse già lo sapete – sono ancor oggi ritenuti i migliori per postura e comodità. Certo, su questa V40 gli anni sono un po’ passati e qualche aggiustamento ci vorrebbe, ma il feeling che si prova una volta seduti a bordo è esattamente quello delle altre cugine svedesi. Lo sento dalla finitura dei comandi, dalle grafiche, dal rumore degli indicatori di direzione. Insomma, sono a casa. Dove non mi riconosco è nella manovrabilità del cambio e nella risposta del motore, che ha un’allungo davvero modesto, anche per una diesel. La sensazione generale, però, è quella di un’auto desiderabile e robustissima. Desiderabile perché il disegno e lo stile sono originali e a me piacciono le auto un po’ diverse dal “mainstream”, robustissima perché... è una Volvo, ma soprattutto per il rumore che fa una porta sbattendo, per come si chiude il vano portaoggetti, per il feedback delle levette sul volante. Nonostante ciò, sento che in marcia è pesante e forse il D2 non è il motore ideale per portarsi a spasso questi 15 e passa quintali di puro acciaio svedese. A proposito, sapete perché la Volvo si chiama così e come mai il suo simbolo è quella specie di cerchio con la freccia rivolta in alto a destra? La prima risposta è facile: la Volvo nasce come costruttore di cuscinetti a sfere volventi... La seconda un po’ meno, ma Wikipedia ci viene in aiuto: il simbolo è quello utilizzato in astrologia per indicare il pianeta Marte, Dio della Guerra (uno scudo e una lancia) e nelle antiche scienze d’alchimia rappresentava il ferro. Dato che con il ferro gli svedesi ci sanno fare, ecco scelto il logo. La barra diagonale sul radiatore, invece, non faceva parte in origine del marchio, ma serviva solo per tenerlo fermo al centro. Poi, col tempo, è diventata il trademark di tutte le auto di Goteborg. Carlo Bellati, redazione WebTV
Day 3 - Anch’io sono stato volvista come il collega Emilio Deleidi: ho goduto dei favori di ben due station wagon, ma cosa dico due station wagon, le madri di tutte le familiari, la 240 e la 740. E ancor oggi le considero auto inarrivabili per i loro tempi, che hanno fatto scuola per la sicurezza e la praticità di alcune soluzioni poi copiate da molti altri. I sedili, per esempio – ma forse già lo sapete – sono ancor oggi ritenuti i migliori per postura e comodità. Certo, su questa V40 gli anni sono un po’ passati e qualche aggiustamento ci vorrebbe, ma il feeling che si prova una volta seduti a bordo è esattamente quello delle altre cugine svedesi. Lo sento dalla finitura dei comandi, dalle grafiche, dal rumore degli indicatori di direzione. Insomma, sono a casa. Dove non mi riconosco è nella manovrabilità del cambio e nella risposta del motore, che ha un’allungo davvero modesto, anche per una diesel. La sensazione generale, però, è quella di un’auto desiderabile e robustissima. Desiderabile perché il disegno e lo stile sono originali e a me piacciono le auto un po’ diverse dal “mainstream”, robustissima perché... è una Volvo, ma soprattutto per il rumore che fa una porta sbattendo, per come si chiude il vano portaoggetti, per il feedback delle levette sul volante. Nonostante ciò, sento che in marcia è pesante e forse il D2 non è il motore ideale per portarsi a spasso questi 15 e passa quintali di puro acciaio svedese. A proposito, sapete perché la Volvo si chiama così e come mai il suo simbolo è quella specie di cerchio con la freccia rivolta in alto a destra? La prima risposta è facile: la Volvo nasce come costruttore di cuscinetti a sfere volventi... La seconda un po’ meno, ma Wikipedia ci viene in aiuto: il simbolo è quello utilizzato in astrologia per indicare il pianeta Marte, Dio della Guerra (uno scudo e una lancia) e nelle antiche scienze d’alchimia rappresentava il ferro. Dato che con il ferro gli svedesi ci sanno fare, ecco scelto il logo. La barra diagonale sul radiatore, invece, non faceva parte in origine del marchio, ma serviva solo per tenerlo fermo al centro. Poi, col tempo, è diventata il trademark di tutte le auto di Goteborg. Carlo Bellati, redazione WebTV

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