Questa settimana il diario di bordo riguarda la Jaguar XF. La grossa berlina inglese, che si confronta con l’Audi A6, la BMW Serie 5 e la Mercedes-Benz Classe E, ha prezzi di listino che partono da 44.220 euro. Ma per mettere nel proprio garage una 2.0d 180 CV AWD R-Sport come quella di cui parliamo si deve staccare un assegno di almeno 56.280 euro, che salgono rapidamente se si mette mano alla ricca lista degli optional.
Day 1. Qui in redazione la XF è una vecchia conoscenza. Ai tempi della prima serie (presentata nel 2007) l’abbiamo apprezzata a lungo, perché abbiamo svolto una prova di durata di 100.000 km con la V6 turbodiesel. Ricordo viaggi di servizio per nulla affaticanti, grazie alla silenziosità del sei cilindri tre litri, al confort delle sospensioni e alla signorilità dell’abitacolo. Questa seconda edizione è stata profondamente rinnovata, a partire dalla scocca, ora di alluminio, che ha consentito di abbattere il peso di ben 190 kg, e nei motori: nel cofano mancano un paio di cilindri, giacché l’esemplare in prova è dotato del due litri quattro cilindri Ingenium da 180 cavalli, che equipaggia anche gli altri modelli Jaguar e Land Rover. Ciononostante la signorilità di marcia della XF è intatta, grazie all’accurata insonorizzazione che fa filtrare solo una minima parte del battito del diesel. E l’allestimento dell’abitacolo, anche con qualche dettaglio sportiveggiante come le cuciture dei sedili di pelle di colore in contrasto, è sempre appagante. Scenografico il manopolone del cambio automatico a otto marce che all’avviamento “emerge” dalla console, così come le bocchette laterali che si scoprono elettricamente. Pur mantenendo sostanzialmente le linee della prima serie, il rinnovamento della vettura si nota per esempio nella strumentazione, ora completamente digitale se si richiede il sistema multimediale In Touch Control Pro, con ampio display e interfaccia grafica moderna. Malgrado il downsizing, poi, questa Jaguar si muove con disinvoltura e l’assetto, sebbene irrigidito nella versione R-Sport, resta comunque abbastanza confortevole. E anche se mancano all’appello ben 120 cavalli (il V6 biturbodiesel ne ha 300), se non si lesina con l’acceleratore i 180 a disposizione portano a spasso la XF con una certa baldanza. Roberto Boni, redazione Prove/tecnica
Day 2. Mi è sempre piaciuta la XF. Ero alla presentazione della prima serie, nella ormai lontana primavera del 2007 e, insomma, l’ho vista praticamente nascere questa automobile. Fu sconcertante, non lo posso negare, d’altra parte la Jaguar doveva cambiare e.. c’era un solo modo per farlo. Trovo questa seconda serie più elegante ma un po’ meno sportiva della precedente, a essere pignoli, forse un po’ troppo uguale a se stessa soprattutto se si considera che, del vecchio modello, non è rimasto nemmeno un bullone. Il quattro cilindri turbodiesel non sfigura. Certo, il tre litri è un’altra cosa, ma anche con soli 180 cavalli e due cilindri in meno la XF si lascia condurre con piacere. Il motore è pronto, ha coppia e il cambio fa bene la sua parte. La trazione integrale non interferisce con il feeling di guida. Sull’asciutto la XF Awd si comporta né più né meno come la versione a trazione posteriore ed è logico che sia così dato che, in condizioni elevate di aderenza, i cavalli fluiscono quasi tutti sulle ruote dietro. Il mondo circostante scorre veloce dietro ai finestrini. Sembra lontano, ed è così perché l’abitacolo, realizzato con la solita cura e attenzione, è molto ben isolato. L’alta tecnologia domina all’interno, ma non intacca il profumo della pelle, che è sempre quello, inconfondibile né la bellezza dei legni, pochi in realtà, ma sufficienti per regalare alla XF una personalità british tutta particolare. Il confort era e rimane uno dei pregi della XF, forse il pregio migliore di questa 2.0d Awd. Peccato solo che il quattro cilindri non sia un po’ più morbido e discreto quando, dopo uno stop a un semaforo, si rimette in moto. Questo, Sir William Lyons non l’avrebbe tollerato facilmente. Marco Perucca Orfei, Centro prove
Day 3. Essere una perfetta concorrente delle solite tedesche. È stata la sua missione fin dal principio, Anno Domini 2007. Questione di stile, tanto per cominciare, che per la prima volta trovava il coraggio di allontanarsi da quella sacra liturgia, recitata a base di fari tondi e stilemi immortali, che sembrava riportare dritta dritta a Sir William Lyons. E il risultato c’è, eccome se c’è, perché la XF da anni si infila perfettamente nella mischia di cui sopra. Ma non è tutto. Riesce a farlo senza omologarsi, perché quando la usi, la vivi, la guidi riesce comunque a ricordarti la nobiltà delle sue origini. La morbidezza dei pellami che tappezzano l’abitacolo, per esempio, e poco male se quella che un tempo era pelle Connolly oggi arriva dall’Italia (la Pasubio di Arzignano, in provincia di Vicenza, se siete rosi dalla curiosità). Oppure lo splendido manopolone che sostituisce la leva del cambio: è superscenografico, con la sua emersione dal tunnel all’atto della messa in moto, ma riesce a essere pure comodo. Almeno per me, visto che a onor del vero non tutti in redazione sono sempre stati d’accordo su questo. Sarà perché ogni tanto, quando passi velocemente da una posizione all’altra, d’improvviso ti costringe a essere un pochino più deciso nelle rotazioni. E poi il Riva hoop, l’arco che attraversa la plancia e prosegue sui pannelli porta abbracciando idealmente i passeggeri anteriori. Dettagli, finezze. Sottigliezze che possono anche passare inosservate. Ma che per l’occhio giusto fanno la differenza e aiutano a suggerire l’idea che l’XF sia diversa anche quando la guidi. Cosa che invece è un po’ meno vera: come vi hanno già raccontato i colleghi nei giorni scorsi, sotto questo profilo la Jaguarona è più affine alle sue concorrenti. Ma questo nulla toglie al fascino. Alessio Viola, redazione Prove su strada
Day 4. Dopo una notte all’aperto, l’indicatore della temperatura segna -7 C°. Tuttavia la strada è asciutta, ma il fondo è lo stesso parecchio insidioso, perché qua e là capita di intravedere pezzi di asfalto ghiacciato. Sapere di poter contare sulla trazione integrale dà una certa sicurezza, anche se non tutti concordano sui reali vantaggi di avere le quattro ruote motrici. Qualcuno pensa che se ne possa tranquillamente fare a meno, ritenendo che bastino l’elettronica e quattro buone gomme termiche. Vero, ma non del tutto, specie quando cavalli e soprattutto Newtonmetro sono in abbondanza. Poter redistribuire la forza motrice tra avantreno e retrotreno in tempo reale (il più velocemente possibile) piuttosto che doverla concentrare su un solo asse può aiutare parecchio, quando l’aderenza è bassa o disomogenea, specie in partenza e in curva. Ciò non significa che si debba (o possa) rinunciare alle gomme invernali. E in effetti la nostra XF Awd vira sempre composta e dà sicuramente più confidenza nel caso di perdita di aderenza. Del resto, la Jaguar non è assolutamente impegnativa, sotto questo punto di vista, forse perché non eccede con la coppia. La sorella maggiore con il V6 turbodiesel e i suoi 700 Nm da mettere a terra richiederebbe di essere trattata con ancor più delicatezza. Diciamo che l’intervento on demand del sistema All wheel drive Jaguar è efficace (il comportamento resta da trazione posteriore su asciutto), tra l’altro con una discrezione che potremmo definire british. Per certi aspetti dà più fastidio, in modalità Sport, la selezione un po’ brusca delle marce. E questo ci offre lo spunto per tornare sul tema trattato ieri dal collega Viola. Anch’io all’inizio, parecchi anni fa, ho dovuto abituarmi a fare a meno della classica leva del cambio. La fase di emersione del manopolone, pur scenograficamente intrigante, sembrava rallentare la fase di avviamento e la sua rotazione richiedeva un po’ di attenzione. Adesso faccio tutto in automatico ed è sempre una bella sensazione osservare lo “spettacolino”, ogniqualvolta si avvia o si spegne il motore (oltre alla comparsa e scomparsa automatica del rotellone, si aprono e chiudono in modo sincronizzato le belle bocchette laterali sulla plancia). Marco Ghezzi
Day 5. Ecco la fine della nostra settimana vissuta felinamente a bordo della XF. Esaurita la pratica motore- telaio-handling, a me rimane il grato compito di raccontare com’è un viaggio di sei ore coccolati in tutti i modi da una Jaguar di rango. Una manciata di cd e le solite chiavette Usb con i brani di riferimento sono il mio bagaglio sonoro. Mi faccio trasportare dalla musica perché, per una volta, ho sottomano per un tempo ragionevolmente lungo un impianto hi-fi di livello, il Meridian, uno dei più sofisticati (e costosi: 4.121 euro) in assoluto. Il suo nome completo è Meridian Digital Surround ed è stato ingegnerizzato dall’esoterico marchio britannico per vari modelli Jaguar e Range Rover, che lo hanno adottato dopo anni di positiva esperienza con Bowers & Wilkins. Nel caso della XF è inserito nel sistema di navigazione InControl Touch Pro con schermo da 10,2 pollici e con alcune funzioni ripetute sulla console virtuale da ben 12,3 pollici che ha preso il posto degli strumenti. Parliamo di un impianto a 15 canali da 17 speakers e 825 watt di potenza RMS (0,2% di distorsione massima), con i diffusori distribuiti democraticamente sulla plancia e sulle porte anteriori (il centrale è un coassiale per le gamme medio-alte che potenzia l’effetto surround), sulle porte posteriori e sul lunotto, qui con due diffusori a due vie e un subwoofer da 25 cm sotto il piano. Ovviamente la sezione delle sorgenti prevede tutto il possibile, come radio FM e DAB, lettore cd/dvd singolo, un jukebox multimediale personalizzabile da 10 GB e le prese Usb, con possibilità di utilizzo di file Mp3, Aac, Wma e i Flac, ovvero quelli compressi senza perdite di qualità. Il fronte sonoro prevalente è anteriore, ma sui brani ricchi di percussioni la sezione dei bassi si mette positivamente in luce anche a media potenza. Il comando del volume, grazie al cielo, è “fisico”, unico controllo disponibile fuori dal pannello touch, e bisogna esagerare con la manopola per ottenere una risposta piena e ricca di dettagli, nonostante la silenziosità di marcia della XF nel suo insieme. Rispetto ad altre auto con impianto surround la profondità e la trasparenza dell’immagine musicale è migliorata dalla qualità del processore utilizzato per realizzare il canale centrale, sviluppato appositamente per la musica e non preso a prestito dagli amplificatori audio-video (sistema Trifield). Passando dal rock ai cantati e alla musica classica, il piacere non viene meno, anche se lo spettro sonoro viene sollecitato in misura minore e l’ampli in classe D non deve necessariamente mettere in mostra i muscoli, ma dipingere di sfumature gli archi e i gorgheggi, cosa che gli riesce in modo esemplare. Carlo Bellati, redazione WebTV
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