Sono passati quindici anni da quel 24 gennaio 2003, quando, all’età di 81 anni, se ne andava Gianni Agnelli. Tre lustri in cui la Fiat, diventata frattanto Gruppo Fca e apertasi alla globalizzazione planetaria ben più di quanto avesse fatto fino ad allora, è rimasta senza la sua figura carismatica.
Una parte essenziale della sua vita. Intendiamoci: Agnelli, come scrivevamo già nel numero di marzo di quell’anno di Quattroruote, non era un “car guy”, un uomo di macchine. Anzi, la sua vita sembrava ruotare intorno a tutt’altro: jet set, mondanità, stile, brillanti aforismi. Ma le auto, anche se all’apparenza può non sembrare, sono state parte essenziale della sua vita. Quelle speciali, specialissime, che si faceva realizzare apposta in esemplare unico e prezioso: Ferrari, ovviamente, ma anche “spiaggine”, come l’esclusiva 600 Multipla Eden Roc o elegantissime station wagon come la 130 familiare, pensata soprattutto per la moglie Marella, innamorata del giardinaggio, per citarne alcune. Ma anche quelle “normali”, di serie, di grandissima diffusione, alle quali, in un certo senso, fu costretto a dedicarsi a partire dal 1966, anno in cui prese in mano l’azienda da Vittorio Valletta, presidente dalla morte del nonno dell’Avvocato. Aveva 45 anni, allora, Gianni Agnelli e, da quel momento, la sua vita avrebbe preso una piega diversa, perché i tempi si sarebbero fatti presto difficili. Lo attendevano l’autunno caldo, il terrorismo anche dentro le fabbriche, la paralisi della produzione, la prima, grande crisi petrolifera, con la messa in discussione del ruolo dell’auto, fino alla famosa marcia dei quarantamila, alla svolta, al ritorno, negli anni 80, a un’economia rampante, nella quale le quattro ruote avrebbero giocato un ruolo significativo.
L’ottovolante. Le cose sarebbero andate così, su e giù, per tutti i decenni successivi: con Agnelli al timone, la Fiat si produce negli exploit della Panda e della Uno, che la mandano in orbita e, nel 1986, nell’acquisizione dell’Alfa Romeo. Ma deve poi affrontare la flessione del mercato nella prima parte degli anni 90, la crescente concorrenza delle Case straniere, che trovano nell’Italia un mercato ricettivo, l’affermazione crescente di quelle giapponesi e coreane, fino all’accordo con la General Motors, voluto per evitare un destino di marginalità. Poi si sa come sono andate le cose: invece che essere preda della GM, la Fiat è diventata “predatrice” della Chrysler, cambiando pelle e spostando molto del suo core business al di là dell’Atlantico. Peccato che l’Avvocato non abbia assistito a questa trasformazione: lui che, l’America, l’ha amata molto, in tutta la sua vita.
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