La 2CV compie 70 anni - FOTOGALLERY
Quello che si apre venerdì 1° ottobre 1948 non è un Salone di Parigi come gli altri. C’è l’euforia del dopoguerra, c’è l’ottimismo di un’industria che ha una voglia pazza di crescere e c’è, soprattutto, un modello che cambierà i destini del suo costruttore ed entrerà di diritto nella storia dell’automobile. È infatti sotto le volte del Grand Palais che, esattamente 70 anni fa, viene mostrata per la volta al pubblico la 2CV, la più piccola delle Citroën, un’auto che nella sua irriverente, intelligente essenzialità crea un genere - quello dell’utilitaria alla francese - con un piccolo motore e un enorme spazio abitabile che verrà ripreso non solo da concorrenti nazionali (basti pensare alla Renault 4) ma anche, decenni dopo, con forme e intepretazioni diverse, dalla Fiat, visto che la prima Panda è a tutti gli effetti da considerarsi progettata nel solco della geniale 2CV.
Il prologo. L’embrione della 2CV, un protototipo chiamato Tpv (Très petite voiture, auto piccolissima), era in realtà pronto già nel 1939, ma la guerra costrinse a metterlo da parte. Nel «cahier des charges» che il direttore, Pierre Boulanger, assegna ai progettisti c’è tutta l’essenza della Deuche, come l’avrebbero poi chiamata i francesi dall’abbreviazione di Deux Chevaux: la vetturetta deve trasportare due contadini e una cassa di patate o una damigiana di vino a una velocità massima di 60 km/h accontentandosi di 3 litri di benzina per 100 km. Le sospensioni dovranno permettere l'attraversamento di un campo senza rompere le uova stivate in un paniere e la guida dovrà essere alla portata di una conduttrice principiante. L’aspetto è, a suo modo, sconcertante. Tetto e coda sono costituiti da un semplice telo che fa da capote, la carrozzeria è di alluminio, con il cofano motore ondulato per essere più rigido e, per risparmiare, c’è un solo faro visto che la legislazione francese del tempo lo consente. I sedili sono talmente spartani che non hanno telaio nella parte superiore: sono appesi come un’amaca ai montanti laterali. Viene approntata una preserie di 250 unità, in gran parte distrutta perché non la vedano i nazisti.
Essenziale e concreta. La vettura definitiva è un po’ civilizzata (quantomeno ha due fari…), ma conserva lo spirito della Tpv. Si chiama 2CV in riferimento alla potenza fiscale sul mercato interno. La muove un bicilindrico boxer raffreddato ad aria di appena 375 cm3 da 9 CV, che la fa andare a 66 km/h. Un’essenzialità cui fanno da contrappunto la trazione anteriore, il cambio a quattro marce, le sospensioni a ruote indipendenti, lo sterzo a cremagliera e i freni anteriori entrobordo. In realtà la messa a punto richiede un certo tempo e la vettura definitiva entra in produzione a luglio 1949: le prime consegne ai clienti avvengono a settembre dello stesso anno. Da allora la gamma non finisce di moltiplicarsi, anche se in realtà si tratta di una serie infinita di adattamenti del progetto base: la sola carrozzeria alternativa alla berlina quattro porte con tetto apribile è infatti la furgonetta.
Una lunga evoluzione. Nel 1954, con la serie AZ, il motore passa a 425 cm3 e 12 CV, nel 1957 la capote (che inizialmente fungeva anche da coperchio del vano bagagli) viene accorciata ed è montato un vero e proprio cofano posteriore. Nel 1965 le porte davanti sono incernierate sul montante anteriore; nel 1970 l’originario bicilindrico, nel frattempo passato a 18 CV, viene rimpiazzato da un 435 cm3 totalmente riprogettato, da 26 CV, declinato anche in versione 602 cm3 e 29 CV che, dal 1979, sarà il solo propulsore disponibile: sono i motori destinati alla Dyane, uscita nel 1967 come evoluzione borghese e moderna della 2CV. Nel 1975 i fari di alcune versioni diventano rettangolari. Gli anni ’80 sono quelli delle serie speciali a tiratura limitata. Una di queste, la Charleston bicolore bigrigia oppure nera e bordeaux (1980), è talmente apprezzata che assurge al ruolo di versione di normale produzione. Nel 1982 arrivano i freni a disco anteriori. A febbraio 1988 cessa la produzione nella fabbrica francese di Levallois; a luglio 1990 lo stabilimento portoghese di Mangualde, l’unico che ancora produce la 2CV, sforna l’ultimo di oltre tre milioni e 800 mila esemplari, cui va aggiunto un milione e mezzo di commerciali. Nessuna auto meglio della 2CV, con il suo spirito controcorrente, ha interpretato i sogni di libertà di almeno due generazioni di automobilisti.
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