C’è un batticuore sistematico che prende prima di una gara. Una palpitazione accelerata, quasi di riscaldamento. Serve anche per lanciarsi con le massime energie dalla partenza, il momento più delicato. Riccardo Patrese, classe 1954, 256 Gran Premi all’attivo in Formula 1 dove ha conquistato sei vittorie e altri 31 piazzamenti sul podio, la conosce bene. È roba che gonfia il sottocasco e quasi rischia di appannare la visiera se, non la si lascia semiaperta. Un'emozione molto diversa rispetto a quella che si vive ai box: lì, a gonfiarsi in questi tempi di coronavirus, è la mascherina. Soprattutto se nell'abitacolo, dall’altra parte del muretto, c’è tuo figlio. È il caso di Patrese, il quale, dopo aver gareggiato per 17 anni in Formula 1, ha seguito il suo Lorenzo nel karting. Lo ha fatto per tre anni. E ora è arrivato il momento del debutto nell'automobilismo, nel Campionato Italiano Formula 4: appuntamento il 2 ottobre al Mugello. E Patrese senior ne parla con noi.
Prima pilota, poi padre di un pilota: quanto simili o quanto diverse sono queste emozioni?
Sono emozioni assolutamente incomparabili. Quelle di adesso sono da genitore, tutta un’altra cosa. Quando dovevo correre io erano le sensazioni del protagonista. E avevo tutta la carica per fare, per vincere. Non era emozione, era determinazione. Volevo emergere. Ora è tutto diverso. Prende tutt’altri aspetti umani. Non so cosa proverò quando a Monza dovrà andare anche a 240 km/h. E peraltro non c’è stato tanto tempo per abituarsi. La sua è stata una passione recente. Mi aspettavo che continuasse a cimentarsi da cavaliere nel salto ad ostacoli, lo ha praticato da quando aveva sette anni. Poi un giorno ha voluto provare il kart ed eccoci qui.
Quando arriva il momento giusto per il debutto in monoposto?
Lorenzo ha da poco compiuto 15 anni e questa è l’età alla quale oggi si inizia a correre in auto, soprattutto se si ha alle spalle una carriera in karting. Lui è cresciuto molto nel kart e si è comportato bene anche alle giornate di test che ha svolto in Formula 4. Se dovessi pensare a quando ho debuttato io, sembrano mondi diversi. Si poteva esordire in auto solo con la patente: nella mia prima gara in Formula Italia, la categoria addestrativa per le monoposto di quell’epoca, avevo 20 anni. Un'età alla quale oggi si può già essere in Formula Uno. Si aveva il tempo per maturare agonisticamente e come persona. Ora è diverso, credo si faccia tutto molto presto, ma ci si deve adeguare. Prima di arrivare in Formula io ho avuto anche l’occasione per vincere un mondiale karting. Oggi è tutto più accelerato, più compresso. Da subito questi ragazzini devono avere un approccio da piccoli professionisti, perché devono riuscire a esprimersi in meno tempo di quello che avevamo nella nostra generazione.
In questo può forse essere d’aiuto la presenza di un papà pilota, visti i tanti figli d’arte che oggi popolano il motorsport?
Sicuramente aiuta, ma nel mio caso non c’è un nesso diretto. Io non ho fatto nulla per avvicinarlo alle corse. Lo seguivo in equitazione fin quando ha voluto. Poi un giorno, magari incuriosito da cosa faceva suo papà alla sua età, ha deciso di provare anche lui. Ci sono miei ex colleghi che hanno avuto un ruolo diverso. Ad esempio, Verstappen ha praticamente educato il figlio alle corse e la carriera di Max non sarebbe esistita senza il padre. Nel caso di questi primi passi di Lorenzo è tutto diverso. Indubbiamente la conoscenza dell’ambiente, la mia carriera, hanno aperto delle possibilità. Nel nostro caso si è presentata adesso un'occasione: se Lorenzo il prossimo weekend debutterà in F.4 con una monoposto gialla e con le scritte di una catena di supermercati olandese (Jumbo) è perché il suo titolare, Frits van Eerd, è un grande appassionato, pilota di F.1 storiche e collezionista anche di Williams con le quali ho corso (e che ho riprovato due anni fa al Minardi Day di Imola). Anche la federazione ACI Sport sta facendo molto per i giovani italiani ed è molto più presente rispetto ai miei anni.
Cosa si aspetta da questa prima uscita?
I test che ha già effettuato sono andati bene. Ma non ho aspettative particolari, sono esperienze che devono essere fatte soprattutto per crescere. Le aspettative non devono essere grandi: Lorenzo entra in un campionato dove gli altri partecipanti hanno già tante gare alle spalle. Questo debutto serve per rompere il ghiaccio. Faremo Mugello e poi Monza proprio per questo.
Quanto si impara nelle categorie addestrative come oggi la Formula 4 o allora la Formula Italia?
Messe a confronto sono due monoposto che non hanno nulla in comune, ma sono esattamente la stessa cosa se rapportate ai tempi. Allora il cambio era con la leva, non era sequenziale, esattamente come era allora anche in F.1. Oggi in F.4 ci sono le palette al volante come le vediamo nel Gran Premi. Allora non avevamo la telemetria, oggi sì ed esattamente come le categorie superiori. Sono entry level per introdurre il pilota all’automobilismo e che come allora sono assolutamente indispensabili per il passaggio graduale dal karting. Allora poi io avevo 20 anni e c’erano miei coetanei, ma anche piloti di più di 30 anni ed eravamo anche 50 o 60 in pista. Ora sono tutti ragazzini.
I suoi 17 anni in F.1 hanno significato anche averne vissuto in prima persona la sua evoluzione tecnica. Quale F.1 ha scoperto all’esordio nel 1977 e quale ha lasciato nel 1993?
Quando sono arrivato le monoposto erano più basiche, sostanzialmente le stesse degli inizi anni 70. Completamente meccaniche, con dei primi concetti più avanzati sulla aerodinamica. Negli ultimi anni ho guidato vetture dove si iniziava a vedere quello che osserviamo ora: aerodinamica evoluta, sospensioni attive come quelle della mia FW14B del 1992, elettronica, evoluzioni progettuali telaistiche...
Anche come pilota deve essere stata una sfida, ma pensando ai risultati ottenuti nelle ultime stagioni stavano nascendo delle vetture più congeniali al suo stile?
Sicuramente non è stato semplice adattarsi a vetture così diverse nel tempo, ma devo dire che al mio ottavo Gran Premio, nel 1978, potevo già vincere, ero in testa e fui fermato da un problema tecnico negli ultimi giri. Quando c’era la possibilità c’ero anch’io e se queste sono arrivate di più negli ultimi anni, i risultati sono giunti in quel momento. È stata fondamentale la scelta di Williams nel 1988. In realtà ero vicino ad arrivarci anche quando non era ancora nessuno e poi vinse il Mondiale nel 1980. Ma non ho rimpianti. L’occasione si è ripresentata, peraltro, quando venivo da stagioni tutt’altro che fortunate.
Pensando alla sua carriera ed a quella che potrebbe fare Lorenzo, quale amarezza gli risparmierebbe e quale gioia vorrebbe essere certo che vivesse?
Ho avuto la fortuna di vivere una carriera decisamente lunga. È chiaro che si sono susseguiti momenti diversi, ma devono essere vissuti tutti. Vorrei che non si risparmiasse mai e che soprattutto si godesse qualsiasi attimo. Deve correre rincorrendo le sue ambizioni, ma anche divertirsi senza mai dimenticare di essere privilegiato a fare quello che più ama.
C’è un po’ la tentazione di vedere in Lorenzo un piccolo Riccardo?
Forse sì. Ma Lorenzo dovrà essere lui. Ha il suo carattere e come me, che da ragazzino praticavo nuoto e sci, ha prima vissuto la disciplina agonistica in tutt’altro sport. È stato due anni nella Nazionale di salto ad ostacoli partecipando ad eventi internazionali. Conosce la pressione. Già oggi cerco di seguirlo più a distanza. Voglio che lavori molto con la squadra. Più di ogni altra cosa, vorrei che mantenesse il desiderio di apprendere. Se sono sopravvissuto a 17 stagioni in Formula 1 è perché anche a 39 anni ho cercato sempre di imparare.
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