E siamo a due. Dopo il Qatar, ancora Ferrari, alla 6 Ore di Imola. Ancora Coletta. Ancora 499P. Ancora quell’eleganza silenziosa fatta di gesti e risultati, mai di proclami. Antonello Coletta, del resto, non è solo l’uomo dei risultati. È l’uomo scelto da John Elkann per guidare con passione e rigore il ritorno della Ferrari nel Mondiale Endurance. Il presidente ha creduto in lui sin dall’inizio del progetto hypercar, affidandogli una missione carica di significato: riportare le Rosse là dove la storia chiama. Coletta ha risposto con il suo stile asciutto, concreto, mai sopra le righe. Lontano dai riflettori, vicino alla sostanza. Un leader vero, capace di trasformare un sogno in realtà.
La Ferrari ha vinto. Ma non solo la gara. Ha vinto nella testa, nei cuori, nei sorrisi dei bambini in tribuna, negli occhi lucidi dei tifosi lungo la Rivazza, nei papà che spiegavano ai figli che sì, quella Rossa lì davanti è nostra. La 499P, creata dall’ingegner Cannizzo - una scultura in movimento, al pari di un Cullinan, il diamante - ha firmato una prestazione da manuale. Precisa. Rapida. Poetica. Tutto è filato liscio, al pari di un meccanismo di precisione assoluta. E non a caso, tra i partner di Maranello c’è Richard Mille, il più esclusivo costruttore di segnatempo al mondo. Sintonia perfetta.

Il weekend, iniziato tra le incertezze del meteo, si è consumato in una danza nervosa tra nuvole e sole. “Piove? Quando piove? Ma quanto?” ci si chiedeva nel paddock come nelle case. Perché la Ferrari sul bagnato è vulnerabile, e la Toyota è lì, pronta. Ma stavolta no. Stavolta, Imola ha tenuto. E ha portato bene. La tensione, quella vera, si tagliava col coltello. Eppure nessuno ha perso il controllo. Né al box, né in pista. Calado, Giovinazzi e Pier Guidi hanno dipinto una sinfonia motoristica di rara armonia. Hanno risposto al richiamo del pubblico – oltre 65.000 anime – con un crescendo perfetto. E quando la bandiera a scacchi ha sventolato, il boato ha risuonato fino a Piazza Gramsci, dove il venerdì sera un DJ set aveva già acceso la città con musica, luci ed energia. Il rombo dei motori sarebbe arrivato, ma l’atmosfera era quella di una festa annunciata. L’Italia bella, che lavora e festeggia.
E poi c’è lui. Valentino Rossi. Sempre lui. Stavolta niente moto, ma una BMW LMGT3 che pareva cucita addosso. Pole il sabato, secondo posto la domenica. Una prestazione concreta, brillante, da campione vero. Ma segnata da un contatto – forse un po’ troppo estremo – con Simon Mann, alfiere Ferrari, finito fuori pista. Nessuna penalità, ma la manovra non è piaciuta. Né al box, né sugli spalti. Rossi ha tenuto botta, ma un retrogusto amaro è rimasto. E uno sguardo del Dottore ha detto più di mille parole. Per Imola, questa gara è molto più di una tappa. È il cuore pulsante di una comunità. Il sindaco Panieri l’ha detto chiaramente: “Imola è pronta per il mondo. Questo evento è un volano, per noi e per tutta l’Italia”. Gli hotel erano pieni da Bologna a Forlì. I ristoranti in fermento. Il centro storico una festa. Le famiglie ovunque. Perché qui la velocità non è solo sport, è cultura, economia, speranza. È vita.

E a ricordarci che questa è davvero una storia da raccontare c’era anche lui, il Blimp Goodyear. Per la prima volta nel cielo di Imola. A sorvolare un’Italia unita da una passione semplice e profonda. Da un orgoglio che non ha bisogno di parole. Ora si guarda avanti. Allo sguardo del WEC che tornerà a correre altrove. Ma anche – chissà – al calendario della Formula 1. Imola merita di esserci. Dopo il dramma dell’alluvione, dopo le rinunce, dopo tutto. Perché in queste colline la velocità è radice. E il motore, quando urla, sa anche abbracciare. Questa Ferrari che vince rappresenta il meglio dell’Italia: dei suoi uomini e delle sue donne, della sua tecnologia e di quella voglia profonda di fare, costruire, vincere. Un esempio. Da custodire. Da raccontare.
COMMENTI([NUM]) NESSUN COMMENTO
Per eventuali chiarimenti la preghiamo di contattarci all'indirizzo web@edidomus.it