La Lone Star Le Mans ha confermato la sua fama di gara estrema: pioggia battente per quasi cinque ore, neutralizzazioni a ripetizione e persino una safety car rimasta senza carburante, costretta al rientro e sostituita con una seconda vettura tra non poche incertezze. Se nel 2024 a Le Mans la notte era stata un muro d’acqua, ad Austin è stata la luce del giorno a trasformare tutto in un paradosso: oltre 66 mila spettatori fradici davanti a una corsa sospesa tra il drammatico e il surreale.
Alla fine il successo è andato alla Porsche Penske Motorsport #6 (Estre, Vanthoor, Campbell), ma con un asterisco inevitabile. La manovra del francese sulla 499P alla ripartenza — affiancamento prima della linea e contatto in curva 1 — ha pesato almeno quanto il passo gara. Un’azione al limite, non intenzionale ma decisiva, che ha cambiato la storia della corsa: la #51, fino a quel momento in pieno controllo, ha subito una foratura ed è precipitata al tredicesimo posto, costretta a uno stop extra. Poi la rimonta, furiosa e orgogliosa, fino a quattro vetture dal primo. Ferrari ha mostrato carattere, come cowboys nel deserto: determinati e incapaci di arrendersi.
A riequilibrare il bilancio ci ha pensato la #50 (Fuoco, Molina, Nielsen), seconda al traguardo dopo una gara solida e senza errori. Niente fuochi d’artificio, ma sostanza: punti pesanti che consolidano la leadership. Dietro, Peugeot ha sfruttato al meglio le condizioni, chiudendo terza e quarta: miglior risultato di squadra della stagione e punti tolti agli inseguitori nella corsa al titolo.
Il resto è la cronaca di una gara anomala, a tratti surreale: direzione corsa incerta, un’ora dietro la safety car, poi rimasta senza benzina… mai visto. Qualcuno ha ironizzato sulla spia capricciosa, altri sulle banconote finite al self service, i più perfidi sul fatto che forse le Porsche bevano troppo. Un attimo di leggerezza in una domenica tutt’altro che leggera.
Dal continente americano arriva però una certezza: la 499P gialla di AF Corse (Yifei Ye, Robert Kubica, Phil Hanson) non ha nulla da invidiare alle sorelle ufficiali. Hyperpole e titolo matematico degli indipendenti, con due gare d’anticipo, confermano il valore dell’equipaggio e la solidità di un progetto costruito a Maranello con visione.
Ora due settimane di pausa e poi il Fuji (26-28 settembre): penultima prova che vale doppio, con 25 punti al vincitore e un peso enorme per le classifiche. Ferrari comanda sia tra i Costruttori che tra i Piloti, ma i margini sono sottili e la pressione altissima. Sul tracciato nipponico, storicamente favorevole alle GR10 — eccezion fatta per il successo Penske dello scorso anno — ogni dettaglio farà la differenza.
L’attesa si veste di poesia: al Fuji ci si presenterà con la stessa trepidazione con cui al Monte Yoshino si aspetta la fioritura dei ciliegi, spettacolo che non tradisce mai. Per gli ottimisti, il Giappone potrebbe regalare alle Rosse la cornice perfetta per un passo decisivo. Ma guai a dirlo apertamente: la scaramanzia impone silenzio. Poi resterà soltanto il Bahrain. Lì calerà il sipario, ma prima il Fuji può ancora regalare alle Rosse la cornice dei ciliegi in fiore, immagine sospesa tra poesia e vittoria. Perché certi titoli, quelli che mancano da troppo tempo, si conquistano anche con l’attesa.
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