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Alfa Romeo
"Arna, e sei subito alfista". O forse no

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"Arna, e sei subito alfista", diceva la pubblicità. E mai pubblicità fu così poco condivisa dagli alfisti, che si domandavano come fosse possibile mettere il "loro" marchio su quella vettura dalla linea giapponese, frutto di una joint-venture tra l'Alfa Romeo (allora di proprietà dell'IRI) con la Nissan. Eppure, il 9 ottobre del 1980 Ettore Massacesi e Takashi Ishihara, presidenti delle due case automobilistiche, firmarono a Tokyo l'accordo di costituzione della società Alfa Romeo Nissan Autoveicoli Spa (Arna): la marca nipponica forniva la scocca e qualche parte meccanica, l'Alfa il motore e il resto. Il tutto veniva assemblato nel nuovissimo stabilimento di Pratola Serra (AV), costruito nel tempo record di due anni. La carrozzeria era quella, non recentissima, della "Pulsar" (o "Cherry", ciliegia, a seconda dei mercati); il motore era il collaudato quattro cilindri contrapposti dell'Alfasud. Dal Giappone arrivava anche il retrotreno a ruote indipendenti, cosicché l'Arna diventava la prima Alfa di serie ad adottare questo schema.

"Arna, e sei subito alfista". O forse no

Accoglienza tiepida. Dopo i disegni, con i quali le riviste specializzate anticipavano le varianti estetiche della vettura, toccò ai cacciatori di prototipi svelarne l'aspetto. Si andò avanti per due anni, cosicché si era creata, nel pubblico, un'attesa carica di curiosità. Ma forte fu la delusione degli alfisti quando l'Arna a tre ("L") e cinque porte ("SL") debuttò al Salone di Francoforte del 1983. Non si poteva dargli torto: la vettura "non sapeva di Alfa". In realtà il frontale, affilato e ingentilito dalla calandra della Casa italiana, era gradevole e le dimensioni abbastanza generose della carrozzeria, unite al modesto ingombro della meccanica, favorivano lo spazio abitabile. A premere sull'acceleratore, qualche soddisfazione si otteneva, perché il motore era pur sempre il 1.200 boxer dell'Alfa, che, con 63 CV, consentiva di superare i 150 all'ora consumando il giusto. Non solo: la tenuta di strada era buona e i freni erano efficienti. Più divertente era la "TI" del 1984, una tre porte con tanto di spoiler davanti e dietro e interni vistosi, spinta dal 1.300 (86 CV) dell'Alfasud Sprint. Ma il tentativo di rivitalizzare l'Arna non riuscì: a metà del 1987, la produzione si fermò.

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