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Sognando Karachi

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Non arrivavano in India solo per le frontiere chiuse dalle guerre del 1965 e del 1971. Ma a Karachi, capitale del Pakistan a meno di 200 km prima del confine, sì. Partivano da Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Francia, Italia, e Paesi oltre la Cortina di ferro. Le flotte avevano nomi entrati nella mitologia del routier: Astran, Rynart, Hungarocamion, Friderici, le nostre Maderna e Satim. Una miriade di padroncini da quelle aziende prendeva carichi e viaggi: uno di Bergamo, fino al 1983, raggiungeva l’Iraq con un “musone” del 1953. La saga era iniziata nel 1967 con il blocco del Canale di Suez; gli ultimi viaggi sono di metà anni 80. Lungo la rotta, nella Turchia interna, il Capo Horn dei camionisti: il Tahir, un passo disabitato, sterrato, ripido e senza un rettilineo. Un’impresa vissuta come necessaria, che suscitava fascino e terrore. Per arrivarci passavano anche dall’Italia: Aosta, Milano, Mestre, Trieste. Nel 1967 dal Monte Bianco a Verrès si procedeva sulla statale di fondovalle e oltre il Tagliamento l’A4 in costruzione esisteva a tratti per poi unirsi a un’arteria dal nome evocativo: Statale 202, Camionale Triestina. Con Un Ford Transcontinental 4435 degli anni 70, magistralmente restaurato da Beppe Salussoglia, e il suo erede di oggi, l'F-Max, abbiamo ripercorso la tratta italiana.

Sognando Karachi

Generazioni a confronto. La vera partenza è il piazzale del Bianco, dove tutti guardano il “Transconti” e la sua livrea che evoca percorsi, appunto, transcontinentali, ma anche l’F-Max che, per l’occasione, ha ripreso i colori dell’antenato. Il Ford nato negli anni 70, all’epoca, lo chiamavano “il condominio”, per la sua cabina già alta di per sé (era ripresa da un modello francese, un Berliet), montata molto alta sul telaio per fare spazio al motore Cummins 6 cilindri in linea da 353 cavalli. Parcheggiato in mezzo agli altri camion nei grandi truck-stop dell’epoca (l’autoporto di Aosta, l’area di servizio di Santhià, la dogana triestina di Fernetti), svettava di mezzo metro. Il pavimento era quasi piatto, come sui top di gamma di oggi. L’F-Max di cavalli ne ha 500, ottenuti da un “sei in linea” progettato interamente in Ford Trucks come il resto del camion, compreso il cambio automatizzato a sedici marce: uno dei pochi casi in cui questo componente è sviluppato e realizzato “in house”. Di tempo e tecnologia ne è passata rispetto al Transcontinental con il classico Eaton Fuller a 13 marce (ottenute combinando cambio, riduttore e moltiplicatore): la trasmissione non è sincronizzata, richiede orecchio e velocità d’azione. Fino a prima dell’F-Max, tuttti i pesanti Ford (non venduti in Europa occidentale) nascevano da una filosofia molto americana, l’assemblaggio di componenti acquistati da fornitori specializzati.

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Un pezzo da collezione. Il Transcontinental 4435 di Beppe Salussoglia riaccende i ricordi di molti che l’epopea dei viaggi l’hanno vissuta. Piero Zavattaro, da anni tranquillo in un ufficio traffico, rievoca gli anni 70 e 80 tra Pianura Padana, Ungheria e Romania con carichi di carne, lungo interminabili statali e camion che di automatico non avevano nulla. Appena può, salta in cabina di uno di quelli che ha restaurato per rinfrescarsi la memoria. Franco Cattadori è figlio di un camionista che fuori dal casello di Fiorenzuola aveva aperto un’officina e con il fratello Carlo ha proseguito entrambe le attività di famiglia. Anche per lui quei tempi caotici e tumultuosi - ma di crescita e ottimismo - sono un richiamo irresistibile e guidare un veicolo con cambio non sincronizzato e riduttore è un piacere che non ha eguali. E poi Pasquale Caccavale, camionista nell’animo anche se ha sempre lavorato in banca, che negli anni d’oro ha percorso quattro volte la rotta turca, spingendosi anche fino a Teheran, la prima volta nel 1975… Con Salussoglia è l’autore di due libri sugli anni d’oro dell’autotrasporto italiano: Macchina e Rimorchio e Profumo di nafta

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Inseguendo l'acqua. Maurizio Saviane, autista di lungo corso e oggi istruttore di guida sicura ed economica, non molla l’F-Max ma ha nostalgia dei tempi in cui la doppietta era un obbligo (e se sbagliavi marcia, con il Fuller dovevi fermarti e ripartire). Beppe ogni tanto segue e ogni tanto precede, tra lampeggi e colpi di clacson di autisti meravigliati di vedere ancora un 4435 in strada. Il nostro viaggio ha celebrato la risorsa naturale per antonomasia, l’acqua; quindi la seconda tappa, fotografica a Balocco, tra le risaie vercellesi; poi il ponte-diga visconteo di Valeggio sul Mincio, imponente opera d’ingegneria del XIV secolo, la riviera del Brenta e, sulla Triestina Inferiore, i confini della laguna di Venezia. Poi Grado e il suo istmo, che divide le due lagune: la stessa Grado a est, Marano a ovest. La vita sull’F-Max scorre senza stress grazie soprattutto all’insonorizzazione della cabina, una delle migliori sul mercato, e alla climatizzazione efficace e uniforme. Maurizio apprezza il nuovo cambio, capace di limare ancora qualcosa ai consumi già ridotti della prima versione, quella a 12 marce. Il volante con servoassistenza elettrica su tre livelli (Comfort, Balanced e Stable rispettivamente per città, misto e lunghi percorsi interurbani) e l’acceleratore sono gli unici comandi che servono. Sul Transconti Beppe manovra il cambio con il savoir faire maturato in anni di raduni. È eroico: finestrini abbassati, piccolo ventilatore alimentato dalla presa dell’accendisigari, borsa termica con tanta acqua fresca in bottigliette. No pain, no gain: anche per i camion storici vale la legge della palestra - se non soffri, non raggiungi la soddisfazione. Dopo qualche scatto con il sole basso sull’orizzonte e l’acqua sui due lati salutiamo il secondo giorno.

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Porto di terra. L’autoporto di Fernetti, tappa obbligata anche per i camion che oggi raggiungono la Turchia via nave, ci pareva la Samarcanda della canzone di Vecchioni, una meta agognata che è anche la fine di una storia. È un non-luogo, un punto di transito frequentato da autisti europei e mediorientali, dove si parla l’esperanto della strada. Così ai tempi della rotta mediorientale era anche il Londra Kamping, truck stop alla periferia di Istanbul, vissuto dai camionisti come la porta della civiltà occidentale. Oggi Fernetti non rappresenta più la fine dell’Occidente: in Slovenia e Croazia si vive come nel resto dell’Unione Europea. Il limite si è spostato più a sud-est e, negli anni a venire, si sposterà ancora. Però qualche atmosfera dell’epoca la riviviamo, con il camionista turco incuriosito dal Transcontinental o il benzinaio dell’area, figlio di camionisti e titolare lui stesso di qualche camion, che si è sciolto alla vista della scritta “Milano-Teheran” sul muso di quello che è stato il primo mezzo pesante concepito per unire continenti diversi.

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