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Industria e Finanza

Benzina e diesel
Crisi in Medio Oriente, "non sarà un altro 1973"

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La guerra in Medio Oriente tra Hamas ed Israele atterrisce per la tragedia umana, le vittime e le possibili conseguenze geopolitiche, ma sta alimentando anche tanti dubbi e interrogativi sul fronte dell'economia. L'escalation militare potrebbe infatti tradursi in un nuovo shock per i mercati energetici e petroliferi e, di riflesso, in un'impennata dei prezzi di benzina e diesel. C'è perfino chi teme la replica di quanto avvenuto nel 1973, quando la guerra del Kippur portò a una situazione talmente tesa nell'offerta di petrolio da spingere i governi occidentali a varare misure di contenimento dei consumi: in Italia, per dire, l'esecutivo Rumor arrivò a imporre il divieto di circolazione totale alle auto e alle moto tramite le note "domeniche a piedi". Andrà così anche stavolta, o siamo di fronte a qualcosa di completamente diverso? Per rispondere a questa domanda, Quattroruote ha chiesto a Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, un parere sull'attuale situazione. A cominciare da quel famigerato 1973.  

"Possiamo stare tranquilli". "Assolutamente no, siamo lontanissimi dal Kippur", risponde Tabarelli. Rispetto al 1973, l'esperto sottolinea soprattutto la diversa posizione assunta dall'Arabia Saudita, che 40 anni fa si schierò dalla parte dei Paesi arabi: oggi, invece, Riad è molto più filoccidentale e più amichevole nei confronti di Israele. Lo dimostra l'ipotesi di sottoscrivere i cosiddetti Accordi di Abramo, la cui firma è stata proprio interrotta dall'attacco di Hamas: l'intesa è congelata, ma la normalizzazione dei rapporti tra sauditi e israeliani non sembra in discussione. Dunque, per il presidente di Nomisma, "la situazione è completamente differente: almeno su questo fronte, possiamo stare tranquilli".   

Crisi in Medio Oriente, "non sarà un altro 1973"

Gli anni contano. L'intero mondo arabo è certamente "in subbuglio". Tuttavia, per i mercati dell'energia e del petrolio le conseguenze sono destinate a non essere devastanti come 40 anni fa, anche perché nel mentre la catena delle forniture è andata incontro a grandi cambiamenti: gli Stati Uniti, per esempio, sono diventati il maggior produttore al mondo di greggio grazie allo sfruttamento delle riserve contenute nelle rocce di scisto e hanno così ridotto la loro dipendenza dall'estero, diventando perfino degli esportatori netti. Il recente e rapido aumento delle estrazioni petrolifere ha consentito agli Usa di affrancarsi dalle fluttuazioni di un quadro mediorientale sempre precario: anche per questo, sui mercati non si stanno registrando bruschi e continui rialzi delle quotazioni, a esclusione della fiammata del 9 ottobre. Dopo l'attacco di Hamas, il petrolio è schizzato a 90 dollari e il gas ha guadagnato il 15% circa, ma a distanza di poche ore i due asset sono tornati a una sostanziale stabilità, se non a un leggero ribasso. "Non c'è panico, ma questo non esclude la preoccupazione", spiega Tabarelli. "Varie vicende stanno creando tensioni, ma riguardano più la geopolitica. I mercati sembrano più tranquilli". Il Brent, in particolare, è sceso sotto la quota degli 85 dollari al barile, scongiurando - almeno per ora - il ritorno del passato.

Rialzi in vista. Detto questo, non è che gli orizzonti siano proprio rosei: "Vediamo i prezzi del petrolio in risalita, indipendentemente dagli attuali eventi", sottolinea Tabarelli, puntando l'attenzione sulla recente decisione di Arabia Saudita e Russia di tagliare la produzione per mantenere alte le quotazioni. Secondo Nomisma, il greggio potrebbe raggiungere i 100 dollari al barile, spingendo nuovamente la benzina a 2 euro, mentre il gas arriverà a 50 per via di "qualche problema sul fronte dell'offerta" e dell'imminente aumento della domanda per i mesi invernali. Insomma, anche se all'orizzonte non sembrano esserci "grandi sconvolgimenti", Tabarelli consiglia comunque di "incrociare le dita".

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