La piccola diventa cattiva, anzi cattivissima. A incominciare dal nome, che si appropria della denominazione LT (Longtail) finora riservata alle sole Super Series McLaren. Una sigla che va ben oltre i 74 mm di lunghezza in più che separano la 600LT dalla 570S coupé da cui deriva e che porta con sé un modo diverso di interpretare la sportività, una ricerca meticolosa delle massime prestazioni, ottenute lavorando su ogni area dell’automobile, senza tanti compromessi con quello che può essere un utilizzo quotidiano della vettura.
Leggerezza prima di tutto. La 600LT, innanzitutto, pesa 100 chilogrammi meno della 570S, un risultato ottenuto togliendo tutto quello che non è indispensabile, riprogettando e ricostruendo con materiali ultraleggeri un gran numero di dettagli e particolari. La lista è quanto mai interessante: i sedili, realizzati come sulla supercar Senna con un unico guscio di carbonio, hanno permesso di risparmiare ben 21 chilogrammi; altri 17 grazie alle ruote forgiate in alluminio con bulloni in titanio e ai pneumatici Pirelli Trofeo R; 14 abbondanti ottimizzando sospensioni e freni; 13 ricostruendo l’impianto di scarico e così via.
Aerodinamica rivista. Ma è stato fatto un gran lavoro anche sull’aerodinamica: il nuovo splitter anteriore e l’ala posteriore fissa, assieme a una rivisitazione completa del fondo e dell’estrattore finale, hanno permesso di ottenere 100 kg di carico aerodinamico verticale alla velocità di 250 km/h. Per quanto riguarda il motore, l’otto cilindri biturbo di 3.8 litri di cilindrata, grazie agli scarichi alti e molto più corti che fuoriescono direttamente dal cofano, guadagna una trentina di cavalli (da 570 a 600) e, anzi direi soprattutto, una erogazione molto più corsaiola: la coppia massima è a quota 6.500 giri, la potenza a 7.500 con il limitatore che taglia appena sopra gli ottomila.

Tra le curve dell’Hungaroring. I due posti sono separati da un tunnel molto stretto, entrare richiede un po’ di ginnastica perché bisogna scavalcare l’ampio brancardo laterale, ma una volta al volante si apprezza subito la posizione di guida più centrale rispetto a quella di altre sportive di questo genere. Si vede bene, e questa è la cosa più importante. Il volante, ricoperto di pelle scamosciata, è essenziale, privo di alcun comando aggiuntivo. Dietro, e solidale con esso, il bilanciere del cambio (sostituisce i due paddle). Il contagiri, come sempre, è ben visibile in primo piano. Non resta che avviare il motore.
Modalità Track attiva. Gli scarichi alti danno una gran voce all’otto cilindri. Regolate le due manopole che gestiscono l’assetto e il motore-cambio su Track, imbocco la corsia dei box. L’iniezione di cattiveria è subito avvertibile, fin dai primi istanti. Con i suoi 4.381 metri di sviluppo, la pista ungherese è una di quelle che danno ben poco respiro (sia alla macchina sia al pilota). Le curve si rincorrono con un ritmo incalzante intervallate, se si eccettua quello dei box, da brevi rettilinei. In questo toboga degno di un otto volante, la 600LT è perfettamente a suo agio. Dopo qualche giro incomincio ad aumentare il ritmo. L’otto cilindri risponde al meglio, spinge forte in basso, ma è l’allungo in alto ad entusiasmare di più. In un attimo si è a limitatore con le marce, molto ben ravvicinate, che entrano velocissime una dietro l’altra. Si arriva alla fine del rettilineo dei box a circa 240 km/h e si stacca, in discesa, dopo il cartello dei 200 metri per infilarsi in seconda marcia nella stretta curva a destra.

Alla ricerca del limite. Questa McLaren, diversamente dalle sue sorelle maggiori, mi infonde subito fiducia. Reattiva a bassa velocità e stabilissima a quelle più elevate, me la sento addosso quasi ci fossi nato dentro. È una gran bella sensazione, viene quasi spontaneo spingerla al massimo alla ricerca di un limite che è sempre un poco più in là, ma che, anche quando lo si raggiunge o addirittura lo si oltrepassa, non ha mai un sapore angosciante. È evidente, ci vuole un po’ di tecnica e di mestiere, ma bastano davvero poche manovre con lo sterzo, che ha la rapidità e la precisione di una katana giapponese, per correggere un eventuale sovrasterzo e riportare la 600LT sulla traiettoria corretta. Alla fine si va forte, veramente forte senza quasi accorgersene. È il vero piacere della guida che scaturisce, più che dalla prestazione in se stessa, che è pure di assoluto rilievo (la 600LT tocca i 328 km/h e accelera da 0 a 200 km/h in soli 8,2 secondi), dal bilanciamento pressoché perfetto che i tecnici inglesi qui, più che su altre loro realizzazioni, sono riusciti a ottenere.
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