Quando non si parla di auto elettriche, nel momento in cui si pensa a soluzioni ecologiche è la tecnologia fuel cell a occupare i pensieri delle case automobilistiche e dei legislatori, che sembrano intenzionati a investire nella sua diffusione. Dalle parole ai fatti, però, la strada pare ancora lunga.
Il contesto. Partiamo dalla premessa che l’automobilista italiano può attualmente scegliere solamente tra due modelli, la Toyota Mirai e la Hyundai Nexo, entrambe basate sulla tecnologia fuel cell, che producono l’energia elettrica necessaria per il proprio movimento dalla reazione tra idrogeno e ossigeno. Uno dei vantaggi principali è la rapidità dei rifornimenti: nel caso della Mirai, per esempio, bastano cinque minuti per avere autonomie importanti (entrambe oltre quota 600 km). I prezzi, però, sono ancora alti: rispettivamente 66.000 e circa 80.000 euro. Sempre la Toyota ha presentato e testato, in modo dimostrativo durante una prova del campionato mondiale rally del 2022, la GR Yaris H2, che però sfrutta l’idrogeno come combustibile, conservando quindi il proprio motore termico turbocompresso, chiaramente modificato. Non ci sono piani riguardo alla produzione di serie, mentre è previsto per il 2024 l’HFCV CR-V, versione fuel cell della più popolare Suv Honda. La BMW, una delle prime Case a sviluppare i motori a idrogeno – fin dal 2000 –, non è invece ancora andata oltre la sperimentazione e la produzione in piccola serie per i test, con la iX5 Hydrogen.
Carenza di infrastrutture. Ipotizziamo ora di possedere un’auto di questo genere e di voler fare rifornimento: le cose si fanno subito molto difficili, perché al momento sono solo due le stazioni di servizio attive, una a Bolzano e una a Mestre. L’idrogeno, infatti, è tuttora visto in Italia come una tecnologia che si sposa meglio con le esigenze del trasporto pesante, motivo per cui tutte le scelte logistiche fatte finora, e in programma nel futuro, seguono questo criterio. Il Ministero dei Trasporti, a tal proposito, ha pubblicato nel marzo 2023 la graduatoria dei 36 nuovi progetti che potranno accedere ai finanziamenti pubblici destinati allo sviluppo della rete nazionale di rifornimento a idrogeno entro il 2026. Si va dall'asse stradale del Brennero al corridoio che collega Trieste a Torino, fino alla Puglia e alla Calabria. Sono anche previste stazioni di servizio vicino alle “hydrogen valleys” italiane, Valcamonica, Umbria e Sicilia: in questo caso, la scelta è motivata dal progetto di sperimentazione del trasporto ferroviario a idrogeno.
Squilibrio territoriale. I numeri totali sono ancora molto risicati e non compatibili con le esigenze della mobilità privata. Tra i 36 progetti solo sei saranno realizzati nelle regioni meridionali: tre in Puglia, due nel Lazio e uno in Calabria. Un po' come sta succedendo con le colonnine per le Bev, la diffusione territoriale sarà quindi caratterizzata da importanti squilibri. La classifica vede infatti il dominio del Veneto, con nove stazioni di rifornimento, seguito dal Trentino-Alto Adige con sei e da Piemonte e Lombardia, a quota cinque e quattro. Meno di tre anni per arrivare, in ogni caso, a un numero totale irrisorio se paragonato con Paesi come la Germania, che già ora può contare su 92 punti di rifornimento. Anche se, in realtà, sono utilizzati in massima parte dai veicoli commerciali. I tedeschi, però, costituiscono un’eccezione a livello europeo, poiché prevedono di arrivare a oltre 300 stazioni entro il 2030, il doppio di quanto farà il Regno Unito. Anche la Francia si ferma prima, a quota 120, mentre, sempre secondo le stime del principale istituto di statistica europea, per quella data l’Italia arriverà a 70, come l’Olanda e poco al di sopra della Spagna.
COMMENTI([NUM]) NESSUN COMMENTO
Per eventuali chiarimenti la preghiamo di contattarci all'indirizzo web@edidomus.it