A volere la Fiat 600, ora rinata elettrica, fu Vittorio Valletta in persona. Il manager che teneva in mano le redini della Fiat aveva le idee molto chiare su quello che sarebbe servito al Paese, faticosamente uscito dalla tragedia della Seconda guerra mondiale, per avviarsi sulla strada della motorizzazione di massa. Un'utilitaria sì, ma con i quattro posti necessari alla famiglia italiana media; abbastanza veloce da potersi muovere con agilità sulla rete stradale in ricostruzione e sulle future autostrade, che già aveva in mente (85 km/h era l’andatura ipotizzata); leggera, per poter avere un prezzo di listino così basso da risultare alla portata del ceto medio-borghese emergente. Compiti non facili, ma non dimentichiamo che, a capo dell’ufficio tecnico della Fiat, c’era Dante Giacosa, l’uomo che aveva creato la 500, intesa come Topolino, e che inventerà la 500, quella detta Nuova, insomma la 500 che tutti conosciamo, nata nel 1957 (e risorta nel 2007). Lo staff di Giacosa si mette al lavoro e capisce subito che, per farci stare quattro persone in meno di tre metri, è meglio mettere tutto dietro, motore e trazione. I primi schizzi sono dell’estate del 1951, all’inizio del 1953 si vedono linee più simili a quelle definitive, meno sottili, ma realizzate con componenti meno costosi, a livello produttivo. Il bicilindrico ipotizzato inizialmente (che finirà, con diversa architettura, sulla 500) lascia presto il posto a un classico quattro in linea, raffreddato ad acqua e sistemato con decisione nella coda: una soluzione che crea qualche problema, ma che ha le sue ragioni.

Lo sviluppo. Concentrare tutto nella parte posteriore, invece di mettere il motore davanti come sulla Topolino, offre il grande vantaggio di poter disporre di un volume consistente per l’abitacolo. Gli svantaggi, però, si riflettono sul comportamento stradale, condizionato dalla concentrazione prevalente della massa al retrotreno e dalla posizione arretrata del baricentro: la macchina, insomma, tende ad alleggerirsi troppo all’avantreno (accadrà anche alla Porsche 911, dall’architettura simile…). Un problema che Giacosa riuscirà a risolvere con lunghe prove (condotte dagli esperti collaudatori della Fiat), lavorando sullo sterzo e, soprattutto, sulle sospensioni posteriori, il cui schema prevede bracci trasversali, molloni elicoidali e ammortizzatori telescopici. La 600 (chiamata così anche in virtù della cubatura del propulsore di 633 cm3) viene così deliberata nel luglio del 1953 e lanciata al Salone di Ginevra del marzo del 1955. Per la Fiat, è l’auto della svolta.

Mille al giorno. Dalle catene di montaggio di Mirafiori, la grande fabbrica torinese inaugurata da Mussolini nel 1939, iniziano a uscire decine di migliaia di 600, vendute al prezzo di 590 mila lire, pari a 13 stipendi mensili di un operaio. Non poco, ma neppure un sogno impossibile: Valletta sa bene di dover produrre auto alla portata dello stesso operaio che le costruisce, a costo di firmare, come accade, pacchi di cambiali, il metodo di pagamento dilazionale che consente a milioni d’italiani di realizzare i propri sogni. Dalla catena di Mirafiori escono presto mille 600 al giorno: è la prima volta, per la Fiat, ma non è che l’inizio. I paesaggi urbani si popolano della simpatica utilitaria torinese, che compare nelle foto, nei film, presto anche alla televisione. Ed è persino migliore di come l’aveva immaginata Valletta: certo, pesa il doppio di quanto l’avrebbe voluta (895 kg, invece di 450), ma sfiora i 100 all’ora, percorre 13 km con un litro di "normale" in città e quattro persone (ma anche in cinque, stringendosi un po') le ospita davvero. Insomma, la 600 è l’auto del boom, del miracolo economico. Più della 500 che, all’inizio, stenta a imporsi, piccola, spartana e cara com’è, rispetto alla sorella maggiore. Con le sue varie evoluzioni, come la Multipla, monovolume ante litteram, e la versione D del 1960 (con motore portato a 767 cm3 e, dal 1964, le portiere incernierate anteriormente, invece che posteriormente), la 600 arriverà a poco meno di 2,7 milioni di esemplari prodotti fino al 1969. Senza contare quelle assemblate in Spagna e in Jugoslavia dalla Zastava, che continuerà a proporle addirittura fino al 1985.
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