La Motor Valley accelera le startup
Dalla San Francisco Bay alla Motor Valley emiliano-romagnola la strada sembra essere molto lunga, ma, ai giorni nostri, le distanze contano in realtà relativamente poco. Lo dimostra, se non altro, la vicenda del Motor Valley Accelerator, il programma di accelerazione della crescita delle start-up inerenti la mobilità che ha sede a Modena, ma le cui radici vanno cercate nel terreno fertile di un’altra Valley, quella high-tech della California.
Origini americane. Tutto parte da lontano, da una società chiamata Plug and Play, che si autodefinisce una “piattaforma d’innovazione”: è, in pratica, un luogo d’incontro tra le grandi aziende e le start-up, soprattutto d’ispirazione tecnologica. Le prime si rivolgono alle seconde per esprimere i loro bisogni in termini d’innovazione; la piattaforma fa da tramite e le mette in connessione con quelle, tra le nuove e piccole imprese, che possono soddisfare questa necessità, nelle vesti di fornitori oppure facendo entrare nel proprio capitale le società maggiori. Un processo forse più complesso da descrivere che da realizzare, ma che sta rivelando, in tutti i settori e in ogni area geografica, la sua efficacia. Plug and Play, del resto, cerca anche di snellire i rapporti tra due tipologie di strutture molto diverse, con i colossi presenti sui mercati spesso burocratici e lenti nei loro processi, tanto che talvolta faticano a dialogare con realtà piccole e molto più veloci. La piattaforma, nata in California una quindicina di anni fa, oggi è presente in una ventina di Paesi, Italia compresa; le start-up (nel mondo, circa 2.000) possono trovare in questa realtà un’occasione preziosa per incontrare i propri clienti senza dover sostenere costi che, di fatto, ricadono sulle aziende maggiori. Plug and Play, che ha una struttura finanziaria robusta, spesso investe anche direttamente nelle start-up che ritiene più promettenti, erogando nelle fasi iniziali una media di 100 mila euro, una cifra unitaria bassa, ma che finisce a circa 200 società ogni anno: l’ampiezza della semina ha fatto sì che l’azienda, nella sua storia, abbia scovato una ventina di realtà oggi diventate unicorni, ovvero che hanno raggiunto una valutazione di mercato pari a un miliardo di dollari (da PayPal, che ha lanciato in orbita Elon Musk, a DropBox, per citare le più conosciute). L’automotive è uno dei settori più importanti per Plug and Play: il programma più significativo - raccontano i suoi manager - è iniziato 5 anni fa a Stoccarda su iniziativa della Mercedes che lo ha poi aperto alla Porsche e a un serie di fornitori (come Bosch, ZF, Faurecia,) fino a costituire un pool di una ventina di grandi aziende attive in 10 programmi e in centinaia di progetti pilota. Altre iniziative di Plug and Play relative al mondo dell’auto sono in corso a Detroit (dov’è coinvolta anche Stellantis), Pechino, Tokyo e nella Silicon Valley.
Lo sbarco in Italia. La prima sede di Plug and Play nel nostro Paese è stata aperta nel 2019 a Milano; a Modena il progetto è nato più recentemente, con lo scopo di portare una cultura digitale avanzata nel cuore del motorismo italiano. All’iniziativa hanno aderito Cdp Venture Capital (il ramo d’investimenti della Cassa Depositi e Prestiti), tramite il suo Fondo Acceleratori, la Fondazione di Modena, UniCredit e Crit, un broker tecnologico locale; tra i protagonisti del progetto c’è anche Eugenio Razelli, già ceo della Magneti Marelli. Gli investimenti complessivi dei player coinvolti e finalizzati al mondo dell’automotive sono nell’ordine di qualche decina di milioni di euro. Modena è la città più piccola, tra tutte quelle in cui è attiva Plug and Play, ma lo sono anche diverse tra le aziende coinvolte: si tratta, però, di eccellenze come Dallara, OMR, Sabelt e di altre realtà di primissimo piano che, come spesso accade, preferiscono non comparire direttamente (l’area emiliana fa però subito pensare ai grandi nomi che vi hanno le proprie radici). Il fattore competitivo delle start-up non è costituito comunque, solo dal contenimento dei costi, reso possibile dalle loro strutture molto più snelle rispetto a quelle delle aziende tradizionali: risiede anche nella fertilità delle idee e, soprattutto, nella velocità, sia dei processi decisionali, sia dell’esecuzione dei progetti.
L’architettura. Le dinamiche del Motor Valley Accelerator prevedono la disponibilità di un fondo triennale di 20 milioni di euro, messi a disposizione dagli investitori a un gruppo di 8-10 start-up, selezionate e accelerate da Plug and Play e da Crit, una società di Vignola (MO) fondata da aziende del territorio di primissimo livello e specializzata nello scouting tecnologico. La selezione è annuale e avviene sia attraverso università e centri di ricerca sia attraverso candidature spontanee, inoltrate tramite il web. Il prossimo bando è previsto in dicembre. Al termine di questo processo, che avviene in più fasi e prevede anche il coinvolgimento delle aziende partner, emerge un gruppo di 8-10 start-up, avviate a un percorso di accelerazione della durata di 5 mesi, alla fine del quale ricevono un primo finanziamento di 100 mila euro l’una. Le tre start-up più meritevoli godranno poi di un ulteriore investimento, che può arrivare fino a 500 mila euro. Nella prima fase, le piccole società vengono accompagnate nella definizione del loro modello di business e nelle attività di found raising fino allo sviluppo dei prodotti: un ruolo importante è giocato delle aziende partner, interessate alle loro attività. I vantaggi sono reciproci, perché le grandi realtà indirizzano le start-up verso attività che soddisfino i loro bisogni, mentre le start-up hanno l’opportunità, in genere non facilissima, di entrare in contatto con chi, nelle grandi aziende, gestisce i processi decisionali. Le start-up prescelte non devono essere necessariamente italiane, ma devono avere comunque una sede italiana: due realtà straniere, una russa e una croata, sono state così indotte a venire nel nostro Paese proprio per partecipare a questa iniziativa.

I progetti in corso. A questo punto, la curiosità impone di entrare maggiormente nei dettagli delle attività delle start-up che, attualmente, stanno partecipando ai processi attivsti dal Motor Valley Acceleretor. Ohoskin, per esempio, è un’azienda nata a Catania nel 2019, che si occupa di circular economy, prendendo gli scarti dell’industria delle arance, notoriamente importante in Sicilia, per convertirli in un bio-polimero, utilizzato nel processo di produzione di ecopelle sintetica non derivata interamente dal petrolio (al momento la quota di materiale eco è del 30%, ma l’obbiettivo è di arrivare quasi al 100%, con immaginabili vantaggi in termini etici e di sostenibilità). Di origine torinese è, invece, reeFilla, che sta sviluppando un servizio di ricarica dei veicoli elettrici attraverso power bank montati su carrelli che consentono il ripristino delle batterie sul posto, in caso di emergenza o nelle grandi città con una dotazione insufficiente di colonnine. La modenese Novac, nata nel 2020, sta sviluppando dei supercondensatori, allo stato solido e modellabili, in grado di esaltare le prestazioni massime del powertrain elettrico (non a caso in passato ha utilizzato questa soluzione anche la Toyota per le sue prime vetture ibride che correvano a Le Mans) e di regolare l’assorbimento di corrente, in modo da prolungare la vita utile delle batterie; la rimozione dell’elettrolita liquido aumenta la sicurezza del sistema, mentre la modellabilità consente d’inserire i supercondensatori in aree dell’auto oggi non utilizzabili. A Venaria Reale (TO), invece, è sorta nel 2018 la 2electron che ha sviluppato tecnologie per dare ai veicoli elettrici quelle sensazioni, in termini di suoni, vibrazioni, percezioni di guida e dinamiche, tipiche dei veicoli con motore a combustione, delle quali molti utenti delle Bev potrebbe sentire la mancanza. La triestina Carchain, nata nel 2020, punta invece su una piattaforma di pubblicità on e off line accessibile mediante QR code per i veicoli parcheggiati per strada o presenti a eventi, nel caso li si volessero vendere; Green Independence, originaria di Brindisi e aperta sempre nel 2020, lavora a un processo di trasformazione degli scarti della combustione, della CO2 e dell’acqua in energia rinnovabile. La padovana Hexadrive Engineering (sempre della classe 2020) ha come scopo lo sviluppo di un software per la realizzazione di copie digitali di oggetti come i motori elettrici, basate su modelli matematici, che consentano in tempi molto rapidi di elaborarne gli sviluppi e prevederne i comportamenti. Dalla russa Invisens, fondata nel 2016, arriva una nuova famiglia di radar 4D, pensati per rendere meno costosa la guida autonoma. La croata Reev (del 2019), infine, è specializzata nella realizzazione di kit per il retrofitting ibrido, destinati alle auto usate con motore termico; il sistema prevede l’impiego di una batteria sottile, che garantisce un’autonomia di 30 chilometri in modalità completamente elettrica, utile per muoversi nei centri cittadini e nelle zone a traffico limitato.
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