Se dovessimo ricordare Elio De Angelis solo per quel che ha ottenuto in pista durante i suoi anni in Formula 1, probabilmente ci ritroveremmo a parlare solo di un buon pilota che raccolse molto meno di quanto realmente meritasse: due vittorie, tre pole position, nove podi e un bel po’ di piazzamenti a punti. Si dice che i numeri non mentono ma non è questo il caso, perché non basta qualche statistica a rendere onore a quel ragazzo dal viso pulito, scomparso a 28 anni il 15 maggio di trentacinque anni fa.
Mosca bianca. La Formula 1 e De Angelis sono un po’ come lo yin e lo yang. Il circus è sempre stato noto come un ambiente cinico e spietato, in quegli anni anche un po’ rozzo, mentre Elio era famoso per la sua gentilezza ed educazione spiazzanti. L’essere parte di una famiglia benestante e amante delle competizioni gli aveva dato l’opportunità di arrivare nella categoria regina del motorsport con la Shadow, ma non ci mise tanto a far capire che aveva il piede pesante e che il patrimonio era soltanto contorno. Quella sua delicatezza sembrava una nota stonata in un ambiente per certi versi grossolano e rumoroso e non a caso, negli occhi di tutti, c’è ancora il ricordo di lui seduto al pianoforte – durante uno sciopero dei piloti in Sudafrica ’82 – ad accarezzare con finezza quei tasti, concentrato come quando guidava. Non era uno di quei piloti cattivi e duri, no. Guidava delicatamente come quando suonava il piano: non sembrava mai al limite, eppure era dannatamente veloce.
Gli anni in Lotus. Elio legò il suo nome a quello della Lotus per cinque anni, perché quella vecchia volpe di Colin Chapman ci aveva visto lungo. Quel team era diventato un po’ la seconda famiglia del pilota romano e visse male gli ultimi mesi insieme che lo videro passare in secondo piano, come fosse uno dei tanti, quando alla Lotus nel 1985 arrivò un certo Ayrton Senna. Il ruolo di gregario stava stretto a Elio che decise così di raccogliere i suoi ricordi migliori e dire addio alla Lotus: “Ci siamo lasciati in amicizia, almeno da parte mia”, dichiarò De Angelis quel giorno con un sorriso amaro, confermandosi ancora una volta icona di semplicità e stile.
L’ultima avventura in Brabham. La nuova avventura professionale del 1986 avrebbe dovuto liberarlo dai fantasmi del passo e dargli nuovi stimoli, con al fianco il connazionale Riccardo Patrese e una schiera di sponsor italiani pronti a supportarli verso il titolo. Peccato, però, che la BT55 – conosciuta come “la sogliola” - progettata da Gordon Murray si rivelò una delusione, difficile da guidare e poco affidabile. In quel mercoledì 14 maggio 1986, lui non doveva neanche esserci sul circuito di Le Castellet, perché quel test era stato programmato per Riccardo Patrese. Ma Elio insistette e si calò nell’abitacolo della vettura per i suoi ultimi giri. Alla staccata della esse della Verriere, la storia ha fatto il suo corso: l’ala posteriore della Brabham si staccò di colpo e la vettura impazzita rimbalzò più volte sull’asfalto, per finire oltre i guardrail. Poi solo fiamme e silenzio, prima dell’ultima disperata lotta in ospedale dove, il giorno seguente, il sorriso di Elio De Angelis si spense per sempre. Elio se ne andò in punta di piedi, come nel suo stile. Ma quella presenza discreta e semplice, resta oggi un’assenza impossibile da ignorare, nonostante siano volati 35 anni. Il tempo corre veloce: avrà imparato da lui.
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