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Tecnologia

Batterie
Niente cobalto nel "cuore" della Panda elettrica

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La presentazione della nuova ë-C3 della Citroën ci ha fornito una prima panoramica sulla nuova piattaforma Smart Car di Stellantis, che molto probabilmente darà vita anche alla futura Panda. E c'è un dettaglio tecnico che merita particolare attenzione: monterà un pacco batteria al litio-ferro-fosfato (LFP), una chimica che porta con sé diversi vantaggi.

Siamo ormai tutti abituati a sentir parlare di batterie agli ioni di litio. Raramente si tiene in considerazione il fatto che sotto questo nome generico si nascondono, in realtà, diverse tecnologie: tutte condividono il ruolo centrale dello ione litio, ma in abbinamento a metalli diversi, che hanno un impatto determinante sulle caratteristiche finali della batteria. Le più comuni nel mercato automotive sono le NMC (nickel-manganese-cobalto) che si sono imposte grazie alla loro elevata energia specifica: in altre parole, permettono di avere una maggior capacità (e dunque una maggior autonomia) a parità di dimensioni e peso. Simili, ma meno utilizzate (si possono trovare ad esempio sulle Tesla di alta gamma) sono le NCA (nickel-cobalto-alluminio) che assicurano una densità energetica ancora superiore, ma con una gestione termica più delicata. Come si evince dalla nomenclatura, entrambe queste tipologie condividono la presenza del cobalto nella formulazione, metallo che porta con sé serie criticità dal punto di vista di reperibilità, impatto ambientale e costo. Per questo, i produttori hanno sviluppato negli anni celle che ne contenessero percentuali sempre minori, passando dalla NMC 111 (in cui i tre metalli sono presenti in pari quantità) alla NMC 811 (in cui il cobalto si ferma al 10%).

Esiste però una terza tipologia di cella, la litio-ferro-fosfato appunto, che di cobalto non ne contiene affatto. E proprio per questo è stata scelta da Stellantis per la sua piattaforma Smart Car (oltre che da Tesla, per le versioni standard range di Model 3 e Y, e dalla BYD). L’assenza di cobalto, infatti, riduce sensibilmente i costi di produzione della batteria (a oggi determinati per il 50-80% proprio dai materiali), ma ne migliora anche in maniera importante l’impatto ambientale e la reperibilità delle materie prime. Non solo. La chimica LFP assicura una maggior stabilità termica, una sicurezza superiore e una vita più lunga, arrivando a diverse migliaia di cicli di ricarica prima di scendere sotto l’80% della capacità iniziale. Il difetto, che ne ha limitato fino ad ora l’utilizzo, è la densità energetica inferiore, ma gli sviluppi tecnologici stanno migliorando continuamente questo valore. E così, se oggi possiamo trovare batterie LFP su citycar o auto medie dall’autonomia relativamente contenuta, è ragionevole pensare che ulteriori sviluppi possano portare, nel giro di pochi anni, i loro vantaggi anche sulle fasce più alte. 

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