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Full (tecnica)
L'ibrido DOC

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L'ibrido full prodotto in serie nasce alla Toyota nei primi anni 90. E il sistema che lo regge, ideato per la Prius, rivisto e aggiornato, è utilizzato tuttora dalla Casa nipponica. Si tratta di una soluzione peculiare, tanto da non rientrare a pieno titolo in nessuno dei cinque schemi che vi abbiamo presentato nell'articolo di pagina 14. La trattiamo, dunque, a parte.
Cuore del sistema è il cosiddetto Power split device (Psd), un complesso ruotismo epicicloidale a cui sono collegati il motore a benzina (a ciclo Atkinson) e quello a corrente. Entrambi inviano il moto al differenziale, provvedendo quindi alla trazione, con l'unità elettrica che s'incarica pure del recupero di energia in fase di rallentamento. C'è poi un motogeneratore che svolge la duplice funzione di generatore di corrente per la ricarica della batteria e di avviatore per il termico.
Non è presente un vero e proprio cambio di velocità, perché questa funzione è svolta direttamente dal ruotismo epicloidale: il rapporto finale varia in funzione di quanto sono alimentate le due macchine elettriche. Il tutto fa capo a una batteria collocata sotto i sedili posteriori e a un'unità di controllo. Il sistema lavora ad alta tensione – in base al modello, si arriva a 650 volt – e consente di muoversi per alcuni chilometri in elettrico. Ed è molto efficiente: nel caso della Yaris da 116 cavalli (nel disegno a destra), siamo arrivati a percorrere oltre 25 km/litro nel nostro ciclo urbano.
La Toyota, negli anni, ha affinato questo sistema, riducendo da un lato gli ingombri e il peso e, dall'altro, aumentando l'efficienza del motore termico e la potenza degli elettrici. Il tutto può poi essere completato con l'aggiunta di un'unità a corrente sull'assale posteriore, così da realizzare la trazione integrale elettrica, come nella Yaris Cross. Lo si può considerare un sistema parallelo che, in certe situazioni, funziona anche in serie.
Nonostante la bontà del progetto, chi è venuto dopo ha seguito strade alternative. Lo schema largamente più diffuso è quello che prevede il motore elettrico a cavallo tra l'unità endotermica e il cambio, che può essere automatico classico o a doppia frizione. Grazie a un ulteriore disinnesto, è anche possibile scollegare il motore a benzina e affidare il compito di muovere le ruote al solo elettrico. Viceversa, quando i due sono uniti, collaborano entrambi alla propulsione (schema parallelo con l'elettrico in posizione P2). Il sistema è completato da una batteria, che viene ricaricata in fase di rilascio dall'unità elettrica – la quale, per l'occasione, si trasforma in un generatore di corrente – e dallo stesso propulsore termico quando trascina l'elettrico.
Alcuni costruttori collocano invece il motogeneratore elettrico a valle del cambio a doppia frizione (schema P3). In questo modo non è più necessario prevedere un disinnesto tra l'unità elettrica e quella a benzina. Un sistema efficace e più economico, che si presta bene ad essere realizzato con sistemi a bassa tensione (48 volt) e con potenze elettriche inferiori, nell'ordine dei 15-20 cavalli. Anche in questo caso è possibile aggiungere un secondo propulsore a corrente sulle ruote posteriori, in modo da realizzare la trazione integrale elettrica.

Largo alla fantasia. Altra soluzione per i giapponesi di Nissan e Honda, che si sono orientati su sistemi in serie, nei quali, cioè, la trazione è affidata al motore elettrico, che diventa pertanto quello principale, lasciando all'unità termica il compito di trascinare il generatore di corrente. Funzionano così le Nissan Qashqai e X-Trail, mentre su diversi modelli Honda (dalla Jazz alla CR-V), in alcune situazioni, anche il propulsore termico muove le ruote.
I francesi della Renault, infine, hanno escogitato un sistema ancora più originale e ingegnoso. Il propulsore a benzina è abbinato a due motogeneratori: il primo, allineato con l'albero motore, che da solo o assieme all'unità termica provvede al movimento della vettura e alla rigenerazione in frenata; il secondo che, oltre a svolgere la funzione di motorino d'avviamento per l'unità termica e di generatore di corrente, s'incarica di raccordare i giri del motore, in modo da facilitare gli innesti del cambio, che ha soltanto quattro rapporti. E, a quel punto, può fare a meno dei classici sincronizzatori.

Hyundai e Kia - I vantaggi dello schema classico

L'ibrido DOC

Hyundai e Kia (che fanno parte dello stesso gruppo) utilizzano per i loro modelli full hybrid il classico schema P2: secondo i casi, il motore elettrico può trovarsi all'interno del cambio automatico al posto del convertitore di coppia (come nella Hyundai Tucson, a cui si riferisce il disegno qui sopra, e nella Kia Sportage) oppure tra il propulsore termico e il cambio a doppia frizione (è il caso di Kona e Niro). Il funzionamento è in parallelo, con entrambi i motori che concorrono al movimento. Nella marcia completamente elettrica, una frizione a controllo elettronico, collocata fra il motore a benzina e quello a corrente, permette di disconnettere il primo e viaggiare a zero emissioni per alcune centinaia di metri. Il tutto fa a capo a una batteria agli ioni di litio sistemata sotto al divano, che viene ricaricata nelle fasi di rilascio.

Renault e Dacia - Soluzione originale

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1 Primo motore elettrico.

2. Secondo motore elettrico.

3. Cambio senza frizione e sincronizzatori.

4. Motore termico.

Il costruttore francese (come la sua controllata romena) adotta un sistema parallelo che lavora in serie ogni volta che è necessario. Il motore termico è affiancato da due motogeneratori: il primo muove le ruote anteriori e, in fase di rallentamento, genera anche la corrente per la ricarica della batteria. Il secondo svolge più funzioni: avvia l'unità termica, genera corrente quando è trascinato da quest'ultima e infine, raccordando il numero di giri degli alberi del cambio, facilita l'innesto delle marce, al punto da rinunciare a sincronizzatori e frizione. Il movimento a bassa andatura è assicurato dal motore elettrico di potenza, che lavora in linea con quello a benzina, il quale, a sua volta, s'innesta automaticamente sulle ruote anteriori alle velocità superiori. La prima delle quattro marce è riservata al propulsore elettrico, le altre tre a quello termico.

Nissan e Honda - Due modi diversi di declinare l'ibrido in serie

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Propulsione elettrica. Sulle Nissan Qashqai e X-Trail il motore di trazione è elettrico: muove direttamente le ruote anteriori tramite un riduttore e un differenziale

La Nissan Qashqai, di cui sopra vedete la meccanica in trasparenza, adotta il sistema e-Power. Questa soluzione prevede che sia il solo motore a corrente a muovere le ruote, mentre quello termico ha il compito di produrre energia elettrica che serve per mantenere la batteria a un livello di carica adeguato, in modo da essere sempre in grado di sostenere le richieste di energia da parte del propulsore elettrico. Perché questo sia possibile è necessario che il motore termico sia collegato a una seconda macchina a corrente dedita alla sola produzione di elettricità per la batteria. Alla base di questo sistema vi è un tre cilindri turbobenzina di 1.5 litri dalle caratteristiche davvero insolite: grazie a uno speciale manovellismo, è in grado di variare in modo continuo il rapporto di compressione (da 8:1 a 14:1), in modo da estendere il campo di funzionamento di maggiore efficienza. I vantaggi sono essenzialmente due. Prima di tutto, la riduzione dei consumi, garantita dal fatto che il tre cilindri (che, lo ricordiamo, è il produttore primario di energia), per quanto detto sopra, lavora più spesso in condizioni ottimali. In secondo luogo la guidabilità, simile a quella di una Bev. 

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Honda CR-V. A sinistra la versione con lo schema ibrido in serie, a destra quella con il motore termico sulle ruote.

Nel caso della sorella maggiore X-Trail è previsto, nelle versioni e-4orce, un secondo motore a corrente, che agisce sulle ruote posteriori (schema P4), così da realizzare la trazione integrale elettrica. La Honda propone uno schema analogo, ma con alcune peculiarità. Anche qui, il motore principale di trazione è elettrico, mentre il benzina trascina un generatore e si collega alle ruote soltanto in determinate condizioni. Questa soluzione è utilizzata su diversi modelli ibridi, con le differenze del caso: nelle più piccole Jazz e HR-V, il propulsore a benzina è un 1.5, mentre sale a due litri su Civic, ZR-V e CR-V. Quest'ultima – a cui si riferisce lo schema a sinistra che sintetizza le due condizioni di funzionamento – prevede anche un cambio automatico a due rapporti per collegare il quattro cilindri a ciclo Atkinson alle ruote, in base alla velocità. Negli altri modelli citati, invece, il collegamento si realizza tramite una più semplice frizione e avviene soltanto sopra gli 80 km/h, se non si affonda troppo sull'acceleratore. Altra particolarità della CR-V è la presenza della classica trazione integrale (ovvero con albero di trasmissione), disponibile in tutte le condizioni di funzionamento.

Stellantis e Subaru - L'importanza di chiamarsi mild

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Per chiudere la carrellata, vale la pena di soffermarsi su un paio di casi assai particolari: quelli di Stellantis e della Subaru. Il gruppo capitanato da Carlos Tavares definisce mild hybrid alcuni schemi che, in linea di principio, sono full. Considerati dal punto di vista del puro schema costruttivo, infatti, ricadrebbero nella categoria per così dire più nobile, dal momento che i flussi di potenza permettono la marcia in puro elettrico. Che cosa spinge Stellantis, allora, alla modestia di dichiararli mild? Semplice: il fatto che la tensione d'esercizio del sistema ibrido sia limitata a 48 volt, elemento che riduce l'aggravio economico, ma pure le potenze in gioco, con conseguente riduzione anche degli orizzonti "elettrici": ci si muove in EV solamente a bassa velocità e per brevissimi tratti. Il voltaggio più alto viene invece riservato alle versioni top di gamma plug-in. Analogo discorso vale per la Subaru. Il sistema messo a punto dalla Casa giapponese prevede l'abbinamento del classico boxer quattro cilindri a un motore elettrico a 118 volt inglobato a valle del cambio a variazione continua (il Lineartronic). Un bel lavoro d'ingegneria che associa i vantaggi – specie in termini di confort – del cambio Cvt alla possibilità di scollegare il termico, in modo da assicurare la marcia per brevi tratti con la sola unità elettrica. Perché allora definire questo sistema mild hybrid? Per onestà intellettuale: la presenza anche della trazione integrale – fondamentale per la Casa giapponese – assottiglia la riduzione dei consumi.

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