Comunque la intendiate, a noi sembra una notizia simpatica. Primo, perché ci sono al mondo persone poco omologate che si sono comperate, a suo tempo, una Daihatsu Trevis. Secondo perché, di fronte alla scomparsa dal mercato europeo (e quindi anche italiano) del marchio Daihatsu, lungi dal preoccuparsi di avere per le mani una vettura ben poco appetibile sui piazzali dell’usato, si sono rimboccate le maniche e hanno deciso di fondare un club. Che poi, appunto: un club di modello non è una cosa così strana. Soltanto che di solito li fanno o per le classiche o per le supercar. Un sodalizio tutto consacrato a una citycar giapponese venduta, alle nostre latitudini, in una manciata di unità è invece un’iniziativa decisamente fuori dal comune.
Se ci siete, battete un colpo. Paradossalmente, è proprio la rarità della Trevis in Italia ad avere convinto Roberta Sciori, una felice “trevisista”, a fondare a luglio il Trevis Club, che sin qui ha un obiettivo semplice e difficile assieme: censire quante Trevis ci sono in Italia. Per scoprirlo, Roberta ha aperto una pagina Facebook in cui è iniziata la caccia alla Trevis: avvistamenti fotografici in giro per l’Italia, notizie, scambio di informazioni per arrivare, se si riesce, a organizzare un raduno o un evento. Oltre che sul social, il club può essere contatto via e-mail: trevisclubitalia@gmail.com. Sin qui sono state censite vetture per lo più milanesi: l’obiettivo è scovarle in tutto lo Stivale.
Quasi una Mini. La kei-car giapponese, basata sulla Cuore (di cui rappresentava la variante retro), è stata prodotta dal 1999 al 2010 in due generazioni, solo la seconda delle quali (apparsa nel 2004) fu venduta anche in Europa. In Giappone la vettura si chiamava Mira Gino. Lunga 3,41 metri e larga 1,47, dotata di carrozzeria unicamente a cinque porte, era mossa da un 1.0 3 cilindri a 4 valvole per cilindro da 58 cavalli, abbinato a un cambio manuale a cinque marce oppure automatico a quattro rapporti. Il suo stile, nettamente ispirato a quello della Mini classica, fu una delle ragioni del suo appeal, giacché rappresentava un’alternativa molto conveniente (oltre che controcorrente) alla Mini moderna.
Marco Visani
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