Alle 9 di domenica mattina c’è gran fermento ai box della 24 Ore di Daytona, i nuvoloni provenienti dall’Atlantico e l’improvviso abbassamento delle temperature non lasciano ben sperare agli equipaggi sopravvissuti alla lunga notte. I meccanici preparano le gomme da bagnato e gli ingegneri si consultano con i meteorologi per possibili nuove strategie. Mancano meno di cinque ore alla bandiera a scacchi. All’inizio del weekend nessuno parlava di precipitazioni. Al mattino di venerdì, mentre mi apprestavo ad entrare in circuito, la colonnina del termometro sfiorava i 30° e un sole caldo accompagnava gli ultimi ritardatari nell’allestimento delle tende negli spazi riservati. Lungo la strada che portava ai box, era possibile avvistare una varietà di personaggi folkloristici, dallo svalvolato impartiva la sua personale benedizione tutti quelli che gli capitavano a tiro, con mitra in testa e birra in mano, in giù.
Aspettando la lunga notte. Benvenuti alla Rolex 24 at Daytona, la competizione di endurance più spettacolare e difficile al mondo, anche a causa della lunga notte: sabato il tramonto è programmato alle ore 17.58 e l’alba, il giorno dopo, alle 7.15. Un lungo momento critico, come ci spiega Alessio Rovera, pilota ufficiale Ferrari: “In queste gare, il buio è il momento più complicato per un pilota: la scarsa visibilità, le tante vetture in gara con prestazioni molto diverse tra loro e la possibilità di un calo di concentrazione sono i principali nemici da tenere d’occhio”. Con la griglia di partenza assegnata la settimana precedente attraverso il “Roar before 24”, la giornata di venerdì allo Speedway scorre tra gare monomarca e di categorie inferiori. Una camminata lungo il percorso mi porta a conoscere la famiglia, Logan che a questo evento partecipa da 20 anni: il papà racconta che la piccola Shirley, nata a settembre, è stata concepita durante l’edizione del 2015.

Grigliate e fine tuning. Continuando il giro, tra gli spazzi attrezzati, non passano inosservati i campi scout, che qui sono giunti da tutto il Paese; si scorgono anche camper dal valore di milioni di dollari, contrapposti a bus di comitive piuttosto "scarcagnati"; e ancora, tende militari trasformate in bivacchi e pick-up nel cui cassone sono stati ricavati ricoveri più o meno di fortuna. Comune denominatore per tutti i presenti: i barbecue alimentati ininterrottamente ed ettolitri di birra da erogare a richiesta. Il sabato, la giornata inizia presto per tutti. Davanti alle tende c’è chi prepara bacon e salsicce. L’aria spensierata del campeggio si contrappone a quella dei box, dove i tecnici studiano le strategie e mettono a punto le vetture. Poco distante, i piloti si preparano all’assalto dei fans alla sessione degli autografi. In tarda mattinata, come da programma, l’organizzazione apre i cancelli permettendo il libero accesso dei presenti sul tratto del traguardo compreso tra l’asfalto di gara, la pit lane e i box. Rendere il pubblico protagonista è una delle chiavi del successo delle varie categorie del motorsport a stelle e strisce.
Suona la campana, poi il via. Per ingannare l'attesa, c'è chi si sdraia sulla pista, chi scrive una frase nei quadrati bianchi della striscia del traguardo. Altri, invece, aprono una coperta per un pic nic: gesti di normale allegria che stridono con immagini all'estremo opposto. Come quella di un ragazzo che sceglie lo Speedway per spargere le ceneri di un proprio caro. Al suonare della campana, il pubblico inizia a lasciare ordinatamente il percorso di gara per dirigersi verso tribune, suite e trespoli allestite nei punti più spettacolari del tracciato. La preghiera del pilota, l’inno americano e la richiesta dello speaker ai driver di accendere i motori, danno il via alle operazioni di gara.

Cala la notte. Il tempo scorre senza che si verifichino episodi di particolare rilievo allo Speedway, fino alle 22, quando i fuochi d’artificio segnano la fine di tutte le attività per il pubblico. La baldoria scema, l’alcool e le grigliate hanno effetto soporifero per i campeggiatori che si abbandonano alle braccia di Morfeo. È notte fonda e per i piloti ci sono ancora diverse ore di buio da affrontare. Il rumore delle vetture in gara crea una litania soporifera per i meccanici, che aspettano di entrare in azione: qualcuno si addormenta, qualcun altro si apparecchia uno spuntino.
La premiazione e il finto podio. Domenica, al sorgere del sole qualcuno giura di aver visto un sosia di Brad Pitt aggirarsi camuffato con una mascherina. Intanto arrivano le nuvole, ma fortunatamente lambiscono soltanto l’anello di gara. Alle 11, un ospite inaspettato si presenta in sala stampa: è Marcell Jacobs, l’italiano campione olimpico dei 100 metri, che, ospite del team Triarsi, è venuto a salutare i giornalisti del suo Paese. Jacobs ci racconta dei suoi allenamenti a Jacksonville, pochi chilometri a nord di Daytona e poi scambia qualche battuta, mentre manca poco più di un’ora alla fine della gara. Le squadre che hanno visto i loro alfieri ritirarsi iniziano a "sbaraccare", e alcuni box adesso sono abusivamente occupati da fotografi e curiosi che sono riusciti a dribblare la sicurezza. Alle 13.40, le 24 ore sono scadute: è il momento della premiazione. Una volta assegnata la coppa e il prestigioso cronografo al primo classificato assoluto, l’organizzazione chiede ai presenti di trasformarsi in comparse. Il Brad Pitt in mascherina non era un sosia, ma l'attore in persona, che si aggirava tra la folla per realizzare Apex, il suo film sulle corse. Il podio viene così trasformato in un set e una finta premiazione con una Porsche GT3 numero 120, di colore blu brillante, viene organizzata a favore del cineasta. Cala il sipario.

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