Sentiamo parlare sempre più spesso di kei car, le ultracompatte che in Giappone riscuotono grande successo, anche in virtù di tassazioni favorevoli e bassi costi d’esercizio. Da tempo Luca de Meo, ceo del gruppo Renault e presidente di Acea, sostiene la necessità di creare una categoria analoga anche in Europa, per vetture elettriche compatte e dai costi produttivi ridotti, così da dare una "scossa" alla stagnante richiesta di Bev nel Vecchio continente. Un’idea ripresa di recente anche dal ministero del Tesoro italiano e che noi abbiamo già anticipato su Quattroruote di ottobre (la trovate esplicitata pure in questo articolo, con tanto di panoramica di alcuni modelli e una prova ad hoc). A questo punto, però, le domande sono inevitabili: le kei car potrebbero davvero rappresentare la risposta (o almeno una possibile risposta) ai tanti problemi che affliggono l’industria dell’auto? Ma soprattutto, piaceranno anche agli automobilisti europei? In attesa di capirlo, nella galleria fotografica qui sopra indaghiamo i modelli più apprezzati in Giappone, in modo da sondarne il potenziale appeal.

La normativa attuale. Le kei car non possono essere più lunghe di 3,4 metri, più larghe di 1,48 e più alte di 2 metri. La cilindrata del motore non può superare i 660 cc e la potenza massima non andare oltre i 47 kW (64 CV). Per quest’ultimo aspetto non esiste una vera e propria norma a riguardo, ma un semplice accordo informale tra governo e costruttori, così da rimanere fedeli allo spirito originario delle kei car: modelli essenziali, di piccole dimensioni e dal prezzo abbordabile. In strada, le si riconosce per la targa con numeri neri su fondo giallo per i mezzi privati, e numeri gialli su fondo nero per quelli commerciali.
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