Guidare una Bentley è sempre un’esperienza impareggiabile. Perché ogni modello ha un’anima sua, unica e inconfondibile. Vuoi per i motori che sono velluto puro, vuoi per le prestazioni elevate ma non estreme, vuoi per il lusso senza compromessi, ma appena ti metti al volante di una Bentley, la riconosci subito. E questo vale anche per la nuova Continental GT, che dà l’addio definitivo a un’icona come il W12 passando all’ibrido plug-in. Cosa che può essere vista come un sacrilegio, ma che in realtà è solo l’ennesimo esempio di evoluzione della specie.

Autentica. Ho avuto il privilegio di guidarla sulla pista di Castellolí (a una cinquantina di chilometri di Barcellona) ancora in veste prototipale. E devo dire la verità: prima di salirci ero un po’ scettico, perché quello che ti dà un dodici è qualcosa di inarrivabile per qualsiasi motore elettrico. Poi l’ho sentita sfrecciare sul rettilineo della pista catalana e ho apprezzato la sua voce, curata nei minimi dettagli da un team che si è occupato di progettare (e “accordare”) lo scarico per farlo suonare come si deve. Non urla, ma ha proprio un bel suono. Prima di guidarla, i tecnici che l’hanno creata m’hanno raccontato come nei suoi 4.895 millimetri di lunghezza sia concentrata tutta l’anima del marchio di Crewe, fatta di lusso e attenzione al dettaglio, ma soprattutto di prestazioni elevate. Davanti all’abitacolo al posto del W12 ora c’è un V8 biturbo di 4.0 litri (da 600 CV e 800 Nm) con due turbine mono-scroll che sostituiscono le twin del V8 precedente (quello non elettrificato) senza temere turbo lag. Perché nel cambio è integrata un’unità elettrica, da 190 CV e 450 Nm, che compensa il ritardo della sovralimentazione e spinge questa Conti fuori dalle curve come mai prima d’ora. E le regala numeri da supercar: 0-100 in 3,2 e 335 km/h di velocità massima.

La batteria la migliora. È più pesante di circa 200 kg rispetto alla dodici cilindri, principalmente per via della capiente batteria da 25,9 kWh montata al posteriore (80 km d'autonomia in EV). Dettaglio, quest’ultimo, che la rende molto meno sbilanciata all’anteriore rispetto alla W12: la ripartizione dei pesi è prossima al 50:50, il che significa avere una guidabilità nettamente migliore in curva e un bilanciamento prima sconosciuto a questo modello. Non che si guidasse male, la “vecchia”, ma a livello dinamico questa plug-in è molto più piacevole. Svelta negli inserimenti (come può esserlo un’auto da due tonnellate e mezzo, o quasi) anche grazie all’asse posteriore sterzante, mantiene bene le traiettorie che imposti, diventando un po’ scorbutica solo quando esageri col gas. Ecco, questo è l’unico aspetto che non m’ha convinto appieno di lei, ma trattandosi di un prototipo ancora lontano dall’arrivo sul mercato glielo si può perdonare. Anche perché la pista dove l’ho guidata non è che sia proprio il suo habitat naturale: meglio godersi la sua morbida pelle e gli inserti di legno su una strada a picco sul mare, magari con l’otto cilindri spento, sospinti dall’elettrico per qualche decina di chilometri in un confort sconosciuto anche alle iconiche W12.
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