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Industria e Finanza

L'analisi
Perché la Ferrari è crollata in Borsa?

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Il piano industriale della Ferrari non è stato per nulla premiato dalla Borsa. Le azioni di Maranello, dopo un’apertura di seduta poco sotto la parità (-0,2% circa), hanno perso oltre il 16% in concomitanza con la pubblicazione dei target finanziari al 2030, per poi chiudere la seduta in ribasso del 15,4% a 354 euro. I motivi possono essere riassunti con la delusione degli analisti e degli investitori per un piano giudicato poco ambizioso e fin troppo prudente. Non è la prima volta che avviene e non sarà di certo l’ultima: la Borsa pretende sempre di più anche da chi ha sempre superato le aspettative più rosee, come, per l’appunto, la Ferrari.

Perché la Ferrari è crollata in Borsa?

I risultati e le aspettative

Dunque, è il caso di cercare di capire se il crollo sia giustificato. Partiamo da un presupposto. In Borsa vale sempre il detto “buy on the rumor and sell on the news”, ossia si acquista sulle voci di mercato e si vende sulle notizie certe. E per notizie si intendono le indiscrezioni o le aspettative. Vediamo quali sono. Per l’ennesima volta, la Ferrari ha alzato i suoi target annuali: i ricavi ad almeno 7,1 miliardi, cento in più rispetto ai precedenti 7 miliardi; stima di utile operativo rettificato aumentata da 2,03 miliardi a 2,06 miliardi; l’utile per azione atteso a 8,8 euro e non più a 8,6. Gli analisti, invece, prevedevano 7,09 miliardi di fatturato, 2,07 miliardi di Ebit e 8,9 euro di Eps.

Poca roba, se non ci fossero stati i target al 2030 a esacerbare il segnale negativo: ricavi a circa 9 miliardi, utile per azione intorno a 11,5 euro e, soprattutto, utile operativo ad almeno 2,75 miliardi (con una marginalità del 30%). E proprio il dato sull’Ebit è stato considerato deludente, perché la sua crescita media annua al 6% si confronta con il +10% del piano al 2026. La differenza è stata vista come un rallentamento per l’azienda. Peccato che si dicesse la stessa cosa quando la soglia delle 10 mila unità prodotte l’anno sembrava invalicabile. Inoltre, la cronaca degli ultimi anni ha dimostrato come la Ferrari abbia più volte battuto le attese del mercato, garantendo così rendimenti elevati agli investitori.

Perché la Ferrari è crollata in Borsa?

Una corsa senza freni

Infatti, i vertici della Ferrari hanno più volte rivisto al rialzo gli obiettivi finanziari annuali e Maranello ha raggiunto i target del piano al 2026 con un anno di anticipo. La capacità dell’azienda di mantenersi negli anni su un percorso di continuo miglioramento ha portato le azioni su livelli senza pari nel mondo automobilistico e perfino di altri comparti come il lusso. Ieri le azioni Ferrari quotavano a ben 418,5 euro, lontano dai massimi di quasi 493 euro dello scorso 17 febbraio. Tuttavia, in un’ottica di lungo termine, il rialzo è fuori scala: il minimo storico di poco meno di 28 euro risale a circa dieci anni fa. Da allora la rivalutazione ammonta all 1661% e oggi la Ferrari siede su una capitalizzazione di quasi 76 miliardi. Per esempio la Volkswagen, con milioni di veicoli venduti ogni anno, è ferma a 51 miliardi (Tesla è un caso a sé perché è considerato un titolo tech e difatti è quotata sul listino tecnologico per eccellenza, il Nasdaq).

Le prese di beneficio e gli short seller

In sostanza la Ferrari ha raggiunto livelli elevatissimi e multipli (i valori azionari rispetto agli utili) da azienda del lusso. E lo ha fatto perché negli ultimi anni qualcuno ha creduto e scommesso su una realtà che ha garantito una crescita continua dei profitti e valutazioni superiori rispetto alla media del settore auto. Nella giornata di oggi, chi ha magari tenuto le azioni per anni è passato all’incasso, ovvero “prendendo beneficio”. A questo si aggiungono le vendite allo scoperto dei cosiddetti short seller: in pratica, un investitore prende a prestito un’azione nella speranza che il prezzo cali e che possa riacquistarlo a un valore più basso, guadagnando sulla differenza che spesso può essere notevole. Ma una cosa è investire in un’ottica di lungo termine e un’altra con un orizzonte di breve, che spesso falsa i giudizi.

Nelle ultime 52 settimane, il titolo Ferrari è stato trattato nell’intervallo tra 347 e 492,8 euro. Dunque, se non si limita lo sguardo all’andamento giornaliero, il crollo si ridimensiona: anche oggi le azioni sono state scambiate proprio all’interno di questo range. In altre parole, siamo nel tipico caso di speculazione borsistica e di forte volatilità. E un’ulteriore prova è arrivata dal trattamento riservato a tante altre indicazioni, come i circa 4,7 miliardi di investimenti, gli 8 miliardi di flussi di cassa e ancor di più quello che rende felici gli azionisti, dividendi e buy-back: Ferrari intende remunerare i soci con circa 7 miliardi, di cui 3,5 miliardi di cedole (è stato aumentato da 35% a 40% il rapporto tra dividendi e profitti).

Speculazione finanziaria

Dunque, siamo di fronte a qualcosa che nulla ha a che fare con l’industria. A tal proposito, pare ben poco giustificato legare il crollo al ritmo di lancio delle novità di prodotto (è stato confermato quello degli ultimi anni) e ancor di più all’Elettrica. I vertici aziendali, guidati dall’ad Benedetto Vigna, hanno sempre tentato di smorzare gli entusiasmi sulla prima Bev del Cavallino Rampante, sottolineando la sua natura di prodotto aggiuntivo a una gamma che sarà rinnovata sempre nell’ottica della neutralità tecnologica: dunque tante ibride (almeno il 40% dell’offerta) e magari anche un’incursione nei carburanti alternativi.

E poi sembra del tutto fuori luogo parlare di una Ferrari che rischia di perdere una sorta di premio “Bev” quando ormai è noto a tutti come il mondo delle sportive stia progressivamente abbandonando le aspirazioni nell’elettrico per la scarsa domanda: si veda la Rimac, oppure la decisione della Lamborghini di rinviare la sua prima auto a batteria per la carenza di interesse. Infine, è tutta da smontare l’idea che la Ferrari sia una sorta di brand del lusso ormai maturo e senza prospettive, così come quella di un titolo a metà tra lusso e tecnologia. La Ferrari tutto è tranne che un’azienda da vincolare in parametri buoni solo per le classificazioni di Borsa.

Il commento dell'analista

Come diceva un certo Sergio Marchionne, la Casa di Maranello non è paragonabile a nessuno al mondo: “Ferrari è unica, è un brand sacro, inimitabile. I brand sacri sono peculiari, non rispettano i criteri di valutazione di un’azienda normale”. In tal senso, è interessante il commento di Gabriel Debach di eToro: "Le vendite non sono dovute a un piano 2030 debole, bensì a un piano più realistico che visionario. Dopo anni di crescita sostenuta, Ferrari non cerca più di accelerare. Sceglie di controllare la velocità per non uscire di pista. Da qui al 2030, non sostituisce la qualità alla crescita, ma protegge la qualità sacrificando la velocità".

“Gli investitori – aggiunge Debach – sognavano una Ferrari da accelerazione, una Ferrari da 10% annuo di crescita, nuove frontiere e margini in espansione. Ma Maranello ha scelto una traiettoria diversa: meno velocità, più controllo. Il Capital Markets Day odierno non ha deluso nei numeri, ha deluso nel sogno. Ferrari resta un’icona di eccellenza e redditività, ma oggi il mercato deve ricontare il tempo con un orologio diverso: meno accelerazioni, più costanza. Per gli investitori di lungo periodo, questa è una Ferrari più prevedibile, più resiliente e forse più valutabile. Ma nel breve, il messaggio è chiaro: non è più una storia di espansione, è una storia di perfezione”. E la perfezione paga nel lungo termine, non nel breve.

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