Le ricariche in corrente continua sono il modo più veloce per incamerare energia. E sono pure quelle che promettono i miglioramenti più significativi. Un'evoluzione che nasce principalmente da due fattori, peraltro collegati tra loro. Da un lato, il continuo sviluppo tecnologico delle batterie, che, oltre ad avere una densità energetica sempre maggiore, ora sono in grado di accettare potenze di ricarica ‒ ben oltre i 100-150 kW ‒ inimmaginabili solo pochi anni fa. Scenario destinato a migliorare ulteriormente con l’avvento degli accumulatori allo stato solido, che promettono potenze di ricarica persino due volte e mezzo superiori a quelle attuali. Dall’altro, la conseguente ‒ e crescente ‒ diffusione delle colonnine Hpc (High power charger), capaci di erogare potenze fino a 350 kW. In questo modo, i tempi di ricarica si riducono da molte ore a una manciata di minuti, rendendo l’auto elettrica competitiva pure sulle lunghe distanze. Discorso tanto più vero da quando ‒ sostanzialmente dall'anno scorso ‒ queste supercolonnine si stanno diffondendo anche in autostrada.
Gestire potenze di questo ordine, come potete immaginare, richiede tecnologie complesse e software altrettanto raffinati, sia sulla vettura sia nell'impianto di ricarica. I cavi e le spine, per esempio, devono essere raffreddati per evitare pericolosi surriscaldamenti, mentre l’elettronica dev'essere in grado di colloquiare in tempo reale con quella dell’automobile, in modo da poter assicurare sempre la massima potenza di ricarica possibile, ovvero quella che non mette in pericolo l’integrità della batteria, oltre che delle componenti elettroniche.
Sotto la lente del centro prove, pertanto, stavolta non sono finite le auto, ma appunto le colonnine Hpc. Visto che ne esistono di diversi produttori, oltretutto con caratteristiche assai differenti tra loro, vale la pena metterle a confronto. Abbiamo abbinato ciascun modello a un differente fornitore di energia: Ionity per la colonnina della ABB, Ewiva per la Tritium, Free to X per l'Alpitronic (assimilabile ad altri punti di ricarica di Ewiva). Oltre al Supercharger della Tesla, vero pioniere di questa tipologia di ricarica. Le prime tre garantiscono potenze tra i 300 e i 350 kW, con tensioni che arrivano a sfiorare i 1.000 volt. Il Supercharger si ferma invece a 250 kW, con una tensione massima di 480 volt. Per metterle alla prova, una BMW i5 e una Nissan Ariya sul fronte delle architetture a 400 volt, mentre per quelle a 800 volt abbiamo scelto una Audi e-tron GT e una Kia EV6. Il test, identico per tutte le auto e le colonnine, consiste in un rabbocco dal 5 al 50%.
Controllato il tempo per il rifornimento e la quantità di chilowattora immessi, ci siamo concentrati sul vero scopo del test: l'andamento della potenza di ricarica lungo l'arco di quest'ultima e, di conseguenza, la potenza media erogata. Innanzitutto, le colonnine di ABB E-Mobility, Tritium e Alpitronic non hanno avuto problemi quando s'è trattato di rifornire Audi e Kia, dotate di tecnologia a 800 volt: tempi sempre ridotti, pur con differenze non trascurabili. Per esempio, sulla e-tron la potenza media è variata dai 203 kW dell’Alpitronic ai 265 della ABB (per inciso l’Audi dichiara 270 kW). Lo stesso non può dirsi per il Supercharger: la sua architettura a 400 volt ha limitato la potenza a 100 kW sull'Audi e addirittura a poco più di 40 sulla Kia EV6.
Per spiegare quest'apparente stranezza bastano i fondamenti dell'elettrotecnica: la potenza (ovvero i kW) è il prodotto della tensione (che si esprime in volt), moltiplicata per l'intensità della corrente (che si misura invece in ampere). Quindi, per ottenere la stessa potenza con 400 volt anziché 800, bisognerebbe raddoppiare gli ampere. Cosa non possibile senza superare i limiti della colonnina. E se pure fosse possibile, l'architettura a 800 volt dell'auto non potrebbe accettarli: il suo alto voltaggio serve proprio per contenere l'amperaggio (in modo da usare cavi di sezione più sottile, risparmiando su peso e, in parte, costi). Così, per la EV6 sono serviti oltre 50 minuti: come dire che i vantaggi della sua tecnologia sono stati annullati.
Tutto è filato liscio, invece, quando si è trattato di rifornire le due auto con tecnologia a 400 volt (BMW e Nissan). Le colonnine ABB e Tritium hanno garantito le massime performance di ricarica alla BMW i5 (186 kW di potenza media), seguite dal Supercharger (168 kW) e dalla Alpitronic (155 kW). Nel caso della Nissan, invece, tutt'e quattro le colonnine hanno garantito le massime prestazioni, con tempi attorno ai 17-18 minuti.
Le quattro mosse per ridurre al minimo le attese
Sulle auto che ne erano dotate, abbiamo azionato la strategia di regimazione termica della batteria (come sulla BMW i5, della quale sopra vedete, appunto, la schermata relativa a questa funzione). In tal modo l'accumulatore si trova nelle migliori condizioni per accettare alte potenze. Per ridurre le variabili, abbiamo portato le auto tutte insieme alle colonnine, così da evitare differenze di temperatura ambientale e poter contare sulle stesse potenzialità in termini di rete. Abbiamo atteso che non fossero collegate altre vetture e poi le abbiamo caricate una alla volta.

20-80% sempre. La regola aurea di non caricare del tutto la batteria rimane valida pure quando si viaggia. Sono più rare di ciò che si potrebbe pensare le volte in cui il 100% si rivela realmente necessario.
I giusti gradi. Come detto, la temperatura ha un ruolo chiave. Se non c'è un comando dedicato, inserite la colonnina CC nel navigatore. A quel punto, il sistema gestisce il processo in totale autonomia.
Partenza smart. La prima volta serve coraggio. E forse pure la seconda. Ma alla fine scoprirete che anche senza la batteria al 100% si può partire sereni. Poi, fermatevi a una Hpc: perderete minuti, non ore.
Valuta l'arrivo. L'ultima ricarica non è meno strategica. Va calibrata non soltanto in assoluto, sui chilometri mancanti per arrivare alla meta, ma pure sulla possibilità, all'arrivo, di poter immettere energia.
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