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Le grandi interviste
Jeffery Deaver, sulle orme di Ian Fleming

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Dopo la morte di Ian Fleming, la leggenda di James Bond è stata narrata da diversi autori, tra i quali figura anche il giallista americano Jeffery Deaver, autore di “Carta bianca” e grande appassionato d’auto. Nato nell’Illinois (Usa) nel 1950, Deaver si laurea in giornalismo e inizia a lavorare nei quotidiani. Torna all’università e ottiene una laurea in legge, dedicandosi all’attività forense. Decide di unire le due esperienze e, alla fine degli anni 80, si concentra sulla scrittura di gialli. I suoi romanzi, tradotti in 25 lingue e pubblicati in 150 Paesi, hanno venduto nel mondo oltre 20 milioni di copie. Il suo libro più famoso rimane “Il collezionista di ossa”, da cui è stato tratto il film omonimo con Denzel Washington. L’intervista è stata realizzata a New York da Flavio Pompetti ed è apparsa per la prima volta sul volume "Quattroruote - profili di eccellenza", pubblicato nel gennaio del 2012.



Il comandante Bond è vivo e lotta assieme a noi. A 47 anni dalla morte del “padre”, l’inglese Ian Fleming, e a 58 dal proprio debutto (“Casino Royale”) nel mondo delle spie, del mistero, delle donne tanto fascinose quanto pericolose, dei Martini agitati e non mescolati, lo 007 con licenza d’uccidere torna a imperversare. A farlo rivivere ci ha pensato Jeffery Deaver, che abbandona gli psicopatici serial killer che l’hanno reso famoso e che con “Carte Blanche” (“Carta bianca” nell’edizione italiana per Rizzoli) si tuffa in un universo fatto di “villain” truci e disumani, viaggi intercontinentali, grandi alberghi e auto veloci. Anche in quest’ultima versione del secondo millennio della saga di James Bond, infatti, l’automobile non è un semplice mezzo di trasporto: è un elemento portante del plot, partendo dalla scelta del marchio da guidare quale parte integrante del personaggio (non è un caso che le Case si contendano a suon di milioni il “product placement” nei film) e in cui l’inseguimento è un “topos” narrativo immancabile. Del resto, che il comandante della Marina britannica sia un appassionato lo si sa sin dall’inizio delle sue avventure. In “Casino Royale”, Fleming sottolinea così l’hobby dello spietato killer in nome e per conto di Sua Maestà Britannica: “La sua auto è una delle ultime Bentley del 1933 da quattro litri e mezzo, fornita di compressore Amherst Villiers. Era un enorme cabriolet convertibile – ma convertibile sul serio – colore grigio scuro, che poteva comodamente raggiungere i 145 orari, con una riserva potenziale di altri 50 km l’ora”. Nella prima puntata della serie, il gioiello viene distrutto e da allora Bond salirà e scenderà in continuazione da centinaia di modelli, alcuni suoi, altri fornitigli dal suo capo M o dall’ineffabile Q. Nei libri di Fleming appaiono altre Bentley, poi Aston Martin, Ford Thunderbird e addirittura una Lancia Flaminia Zagato spyder, ma è nei film che la passione di Bond per le quattro ruote trova completo sfogo. L’elenco è pressoché infinito, attraversando l’intero arco costituzionale dell’industria automobilistica: Aston Martin, ovviamente, quale brand feticcio, ma anche umili Matador, molleggiate Citroën, fredde BMW, rudi Jeep, patriottiche Jaguar, improbabili Lotus in versione sottomarino trasformabile, esotiche Toyota cabriolet, borghesi Mercedes, nobili Rolls-Royce e via elencando. Per questo la scelta di Jeffery Deaver s’è rivelata perfetta: lo scrittore, infatti, è un fervente appassionato d’auto, con l’amore per i motori ben radicato nel cuore.

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Si dice che Fleming abbia creato James Bond a sua immagine e somiglianza. Lo scrittore inglese era un gran viveur, conquistatore di donne e viaggiatore internazionale. Lei ha dovuto adeguarsi anche a questi parametri?
Temo che la mia vita privata sia piuttosto noiosa in confronto a quella del nostro eroe. Alcune cose, però, ci avvicinano, come, per esempio, l’essere stati entrambi giornalisti all’inizio delle nostre carriere. Anch’io amo il cibo e i buoni vini, che colleziono nella cantina di casa. Diciamo che le similitudini finiscono qui. A mia difesa posso aggiungere che sono un buon sciatore e ho una grande passione per le auto sportive e la velocità, naturalmente soltanto in pista.

Quali auto ci sono nel suo garage?
L’auto di tutti i giorni è una Lexus ES350. Poi ci sono una Porsche 911, una BMW M3, un’Infiniti G37 che porto volentieri in pista con risultati dignitosi e infine una Lincoln Navigator, indispensabile per trasportare i miei cani. Sono stato tentato di sostituirla con una Porche Cayenne, ma purtroppo è poco adatta allo scopo. Ho invece posseduto con molta gioia una Maserati Coupé e al momento sono in cerca di una Ferrari 612 Scaglietti, che è il mio sogno da diversi anni. La voglio con il cambio manuale, perché non mi trovo bene con i paddle al volante. So bene che questa passione per i motori sofisticati non è in linea con il resto del mio stile di vita. Non abito in una villa favolosa e non giro il mondo in prima classe (non sempre, almeno), ma le automobili mi piacciono veloci e di lusso.

Quanta parte del successo di Bond, e in genere dei libri e dei film gialli, è legata ai concetti dell’inseguimento e della fuga?
Il “mio” James Bond è tutto concepito su questa linea. E non parlo necessariamente delle corse in auto, ma della struttura dei miei libri, nei quali i rapporti tra i vari personaggi sono tutti riconducibili a una battuta di caccia, con una preda e un inseguitore. Questa è una semplificazione che vale per le avventure galanti tra Bond e le donne, ma anche per i giochi di potere che si sviluppano sullo sfondo della trama, nonché per il tema principale di “Carta Bianca”: la ricerca al criminale che sta per mettere a punto un attentato contro l’umanità di proporzioni gigantesche.

Un passaggio nel quale la sua passione per i motori sembra averle preso la mano è la telefonata con la donna che per la prima volta sembra capace di insinuare in Bond il desiderio di un rapporto duraturo. I due finiscono per parlare di ripartizione della coppia tra gli assali della Bentley...
Nulla di strano. La donna è una vera amazzone: indossa una tuta di pelle integrale alla guida di una moto BSA e la sua Mini è potenziata da un supercharger. Conosce bene i motori e le loro prestazioni. Non può meravigliare che anche il corteggiamento tra i due passi sul filo dei cavalli. Se mai una donna riuscirà a conquistare il cuore di Bond in modo duraturo, dovrà per forza dividere con lui un po’ dell’amore per le auto dai marchi nobili.

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È per questo che ha scelto di accostarlo all’immagine di un’automobile posata e conservatrice come la Bentley?
L’abbinamento non è arbitrario: le Bentley sono già apparse varie altre volte. Mi è sembrata una scelta obbligata, poi, rendere omaggio a un marchio che ha saputo rinnovarsi mantenendo una solida traccia nella tradizione britannica.

Da giovane, lei è stato un lettore di Fleming e di James Bond?
La prima volta che ho preso in mano un libro di Bond avrò avuto otto o nove anni. I miei genitori erano molto severi nella scelta dei film che mi permettevano di guardare, ma visto che ero molto precoce nella lettura mi hanno lasciato libero di leggere tutto quello che volevo. Era una situazione paradossale perché al tempo i film erano molto castigati riguardo al sesso e alla violenza, mentre nei libri della mia collezione, inclusi quelli di Fleming... E così il primo racconto giallo che ho scritto a 11 anni finì per essere ispirato al personaggio di Bond. Raccontava di un agente segreto che ruba ai russi un aereo di massima segretezza nazionale.

Che cosa ha fatto di lei l’autore ideale per il nuovo libro della saga?
In primo luogo il successo dei 28 romanzi che ho scritto e delle 20 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Nel 2004 ho ricevuto l’onorificenza della “Spada d’Acciaio Ian Fleming” alla conferenza dell’Associazione degli scrittori di romanzi polizieschi. Nel discorso di accettazione non ho potuto fare a meno di dichiarare il mio debito di riconoscenza per l’autore britannico e le mie parole hanno impressionato la direttrice della Ian Fleming Publications. Ma è con gli eredi che ho dovuto discutere inizialmente la mia visione per il libro.

Si è sentito intimidito dal compito che le era stato assegnato?
Ogni libro, in realtà, è una sfida e io l’affronto sempre come se fosse la prima volta, in modo da dare ai lettori il massimo di me stesso. Quanto allo straniamento, poi, e alla capacità di immedesimarmi nei personaggi più disparati, sono un autentico trasformista. Quando lavoro a un volume della serie Lincoln Rhyme, per la quale sono conosciuto negli Usa, devo calarmi nei panni di un quadriplegico relegato su una sedia a rotelle. Con Bond c’era un elemento di difficoltà in più: il personaggio è così famoso e talmente conosciuto nei minimi dettagli, che c’è sempre il rischio di deludere o di scontentare un gruppo o l’altro dei suoi seguaci che pretendono rispetto per l’ortodossia.

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È stato difficile conciliare la sua matrice culturale americana con l’identità inglese del personaggio?
Naturalmente ho visto gran parte dei film e letto i libri, ma per trovare ispirazione li ho ignorati quasi tutti e sono tornato alla fonte, a Ian Fleming. A differenza di Agatha Christie, i cui personaggi trasudano un’identità prettamente britannica, Fleming ha disegnato Bond con poca attenzione alla bandiera e alla cultura nazionale. Ciò ha facilitato il mio compito. Il suo agente segreto è un avventuriero cosmopolita che si trova a suo agio in ogni situazione e in ogni angolo del mondo, proprio come il suo creatore, che era di casa ai Caraibi o nel Medio Oriente. L’unica interpolazione che ho effettuato con determinazione è stato l’avvicinamento dell’agente 007 alla realtà dei nostri giorni. Ho voluto fare di James Bond un personaggio ancora più universale, se possibile, e al tempo stesso più prossimo alla sensibilità dei lettori di ultima generazione, molti dei quali ne hanno solo sentito parlare, o hanno visto un film, ma mai letto uno dei libri.

Bond, oltre che un playboy, era anche un fumatore e un esploratore di fantastiche tecnologie. Può sopravvivere oggi, in tempi di salutismo e di favolose applicazioni da cellulare a portata di tutti?
Il gusto dei lettori per le storie di spionaggio e per il genere poliziesco è rimasto intatto e oggi la letteratura di genere è molto più articolata di quanto lo fosse nei primi anni 50, quando nacque il personaggio del comandante. Dal punto di vista della popolarità del genere letterario non ho dubbi: il pubblico ha ancora voglia di nuove avventure di 007. In quanto alla cornice storica, ho deciso di farne a meno: ho trasportato Bond nell’attualità più recente, proprio per sperimentare quanto il suo fascino gli possa garantire la sopravvivenza nel passaggio, e per consegnarlo ai posteri intatto nella sua grandezza.

In “Carta Bianca”, Bond non guida soltanto la Bentley Continental GT, ma passa senza problemi ad altri modelli meno nobili: è il sintomo di una “normalizzazione” del personaggio?
È vero, nel mio libro Bond usa come company car una Bentley, ma lo troviamo anche alla guida di una Volkswagen Jetta, siede da passeggero su un’Alfa Romeo, e chiude il circuito degli inseguimenti al volante di una Subaru Impreza STI. Quest’ultima ha suscitato polemiche su alcuni blog da parte di chi vede la figura di 007 svilita da un tale accostamento. Capisco la passione di chi vede Bond con lo sguardo di un puro appassionato di motori, ma non si può chiudere gli occhi di fronte alla realtà, sia pure in forma di romanzo. Il mio Bond è un personaggio contemporaneo e reale, e quindi non può essere sempre e soltanto un’icona della motorizzazione sportiva o un testimonial delle auto di lusso. Quello che conta non è il modello di auto in cui è seduto, ma la qualità dell’azione drammatica in cui il personaggio e l’auto sono coinvolti. Nel mio libro quando Bond si trova in Serbia all’inizio dell’avventura è alla guida di una Jetta perché il traffico locale è ben affollato di simili vetture. Nel suo garage a Londra troviamo la Bentley a fianco delle leggendarie auto che conosciamo dal suo passato, ma poi quando si trova a Cape Town è a bordo di una Subaru presa in prestito a degli agenti di polizia della città. Sfido chiunque a trovare un poliziotto sudafricano alla guida di una fuoriserie!

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