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Restomod
Il piacere proibito delle classiche "col trucco" - FOTO GALLERY

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Macché green pass: se c’è un argomento con cui si rischia il blocco della conversazione con gli appassionati di auto classiche è il restomod. L’acronimo anglosassone di restoration (restauro) e modification (modifica) è il vero tema scottante degli ultimi tempi fra i “car guys”. Specie da quando è entrata in gioco l’elettrificazione, che in nome del salvataggio del pianeta giustifica ogni genere di operazione-recupero, o la resurrezione di modelli condannati all’album di famiglia.

Cosa spinge a farlo? Il restomod è la pillola blu dell’auto classica, il restauro truccato che le restituisce una nuova giovinezza, con prestazioni mai viste neppure negli anni migliori. Attenzione a non confonderlo con le one-off, gli esemplari unici: di solito nel restomod non si parla di personalizzazione, ma di realizzazione professionale in piccola serie da parte di Costruttori di nicchia. Perché si fa? Un buon restauro filologico migliora già sensibilmente l’originale, grazie ai materiali aggiornati dalla tecnologia moderna – soprattutto quelli più soggetti a usura meccanica. Il fatto è che, a volte, il sospirato originale è impossibile da ritrovare, o comprare, per l’esiguità dell’offerta. Altre volte, invece, riportare a nuovo una classica, specie di un certo valore, può costare parecchio se si parte dal solo motore, o da una scocca con qualche traccia di ruggine e gli interni rosicchiati dai topi. E poi diciamolo: il tempo non è sempre gentiluomo, con le automobili. Certe si guidavano con non poche difficoltà. Cambiavano corsia da sole. Frenavano al condizionale. Acceleravano da zero a cento nel tempo che serviva a una moka per far salire il caffè. E a volte i loro interni offrivano lo stesso confort della sala d’attesa di un commissariato.

I punti a favore. E quindi? Si gioca migliorando, mischiando le carte, per riscoprire il piacere della guida attuale con una macchina di carattere, o un’utilitaria che non ricorda le altre centomila identiche del suo segmento. Il retrofit ha dato la spinta definitiva a una tendenza in crescita, ma non è necessario: quando il telaio e il vano lo consentono, a volte basta trapiantare un motore endotermico più moderno e meno inquinante. Un altro punto a favore del restomod è la possibilità di guidare anche dov’è proibito alle Euro 0, nei centri storici per esempio, senza limitazioni di accesso e di orario. Ormai esibire certi dinosauri in città è guardato come un segno di cattivo gusto dai discepoli del green. Salvo naturalmente assolvere i furgoni che fumano come centrali a carbone, impegnati nelle loro consegne a domicilio. Ma tant’è: per alcuni, soprattutto gli under 30, il restomod è considerato una versione ecologicamente accettabile e accessibile della vettura d’epoca; mentre gli altri gridano, più confortevolmente, all’abominio e al sacrilegio.

Dietro c’è il piacere di guida. Il vero fattore di diffusione del restomod è il divertimento alla guida. Perché accontentarsi di un’auto piacevole, se può diventare stupenda quando si spinge il piede sul pedale? Ormai lo sdoganamento dei restomod è sotto gli occhi di tutti: persino certi insospettabili ortodossi hanno concesso qualche occhiata di troppo alla Delta Futurista di Amos Automobili e alla Kimera EVO37, tanto per citare due Lancia degli anni 70 e 80 clamorosamente resuscitate da altrettante realtà artigianali italiane. Il segno dei tempi l’ha lasciato da poco Rob Dickinson, l’ex cantante rock inglese che a Los Angeles ha fatto fortuna “reimmaginando” le Porsche 964 Targa o coupé. Di recente, una di queste è stata battuta a qualcosa come 696.000 sterline (822.450 euro) sul sito d’aste online Collecting Cars. Un record mondiale che fa riflettere i collezionisti e impressiona i semplici appassionati, considerando che lo scorso aprile, sulla stessa piattaforma web, una Carrera 4 del 2001 con il motore rifatto è andata via per circa 15.000 euro. Pro o contro, allora? Nella nostra galleria d’immagini vi proponiamo otto esempi per non restare indifferenti.

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