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Mobilità elettrica
L'India ha "Fame" di batterie

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Nei grandi agglomerati urbani indiani, capita ormai sempre più spesso di vedere qualche full electric, immediatamente riconoscibile per la targa verde. Alla sorpresa del primo avvistamento segue la perplessità del secondo. Al terzo la domanda sorge spontanea: che il programma governativo per la mobilità elettrica, giunto alla seconda fase, stia funzionando?

Tra ambizioni e ambiguità. Lanciato nel 2015, il Fame (Faster adoption and manufacturing of electric vehicles) passa alla seconda fase nel 2019. Gli obiettivi, spalmati su un triennio, sono soltanto apparentemente chiari, perché gli “electric vehicles” cui fa riferimento sono da intendersi sia come elettrici puri sia come elettrificati. In particolare, il piano incentiva l’acquisto di 7 mila bus tra Bev e ibridi, un milione di motociclette (in questo caso, elettriche pure, grazie al fatto che la batteria è facilmente asportabile e ricaricabile a casa), una quantità mostruosa di tuc-tuc e 55 mila vetture. In un mercato che nel 2021 ha superato la soglia dei 3 milioni di automobili, si tratta di meno del 2%. Si pensa, ovviamente anche alla rete di ricarica. Auspicabilmente in modo più concreto rispetto alla fase I, durante la quale sono state installate 427 stazioni (in un Paese che è grande 11 volte l’Italia).

Il primato della Tata Motors. Più concreto pare l’approccio dei produttori. La Tata commercializza la versione a emissioni zero della berlina Tigor dal 2019 e quella della Suv Nexon dal 2020. Grazie a un listino che parte da 1,2 milioni di rupie (poco più di 14.300 euro), i due modelli diventano i best seller del mercato, con oltre 15 mila esemplari negli ultimi 12 mesi. Le Tata sono in effetti le uniche elettriche che si vedono in giro. Del resto, i dati relativi alla concorrenza sono eloquenti: poco più di 2 mila MG ZS EV, 156 Mahindra eVerito e via a scendere.

Maruti Suzuki all’inseguimento. Nata negli anni 80 come joint venture tra il governo indiano e il produttore giapponese, la Maruti Suzuki (oggi controllata dal secondo) domina il mercato interno con una quota attorno al 50%. Ancora assente dal mercato elettrico, l’azienda intende recuperare il tempo perduto e annuncia un’elettrica pura per il 2025. Allo stesso tempo, però, si dichiara scettica su quel 30% di vendite di EV indicata dallo Stato centrale (con il quale mantiene forti legami) come obiettivo per il 2030. Più realistica pare una percentuale tra l’8 e il 10%.

La dura verità. Tirando le somme, le ambizioni governative sembrano destinate a rimanere tali, almeno per quanto riguarda le autovetture. A crescere in maniera esponenziale saranno piuttosto le moto elettriche, che dall’1% potrebbero arrivare al 15% del mercato già nel 2025. Secondo un sondaggio, il 63% dei potenziali acquirenti di un’auto ritiene infatti che il prezzo delle EV sia eccessivo rispetto alla propria capacità di spesa. Inoltre, la rete di ricarica è ancora praticamente assente. Di più: in India i blackout elettrici sono all’ordine del giorno. Per non dire del fatto che l’elettricità è ancora prodotta soprattutto in centrali a carbone. Il passaggio alla mobilità a emissioni zero pare quindi più un miraggio che un programma. E, ancora una volta, sembra lecito chiedersi: ma perché, prima di incentivare l’acquisto da parte dei privati, i governi non provvedono a garantire l’infrastruttura?

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