Walter de Silva e la rivoluzione "slow motion"
Andare più piano, ma non fermarsi mai. È l'idea di Walter de Silva, tra i più grandi designer italiani, per trovare una nuova dimensione urbana che metta una volta per tutte d’accordo il traffico automobilistico privato con le altre forme di circolazione. La pandemia ci fornisce l’opportunità di immaginare scenari metropolitani nuovi, molto più a misura d’uomo, con ritmi un po’ più lenti, ma non per questo meno efficaci. Un approccio che richiede un ripensamento totale della mobilità, il quale passerebbe attraverso microcar elettriche molto semplici per il commuting privato e un trasporto collettivo rivoluzionario, in un quadro in cui auto, mezzi pubblici, ciclisti e pedoni si muovono a bassa velocità, ma con un flusso continuo che riduce i tempi morti. Aumentando la sicurezza, senza pregiudicare l'efficienza del sistema. Uno scenario possibile se tutti – Case, istituzioni, cittadini – proveranno a cambiare mentalità.
Minore uso di bus e tram per timore del virus, più ricorso all'auto privata e, quindi, più traffico. Come si trova la quadra per la mobilità urbana?
Durante il lockdown abbiamo "scoperto" lo smart working. Mi viene un po' da sorridere perché a livello di design lo si usa da almeno 15 anni. Io lavoravo per un gruppo che ha studi di stile in Europa, in California, in Cina… Ed eravamo in costante contatto. Quello è un mezzo potentissimo per lavorare, studiare, fare riunioni, ma non sostituisce la mobilità, la quale non risponde solo all'esigenza di incontrare gli altri, ma anche a un bisogno di libertà. Certo, è vero che, grazie allo smart working, possiamo distribuire meglio gli impegni nell'arco della giornata ed essere flessibili. Quindi il nostro modo di muoversi sarà diverso e, passatemi il termine, culturalmente più adeguato. Tanto da influire sulle tipologie di auto che guideremo.
Vale a dire?
Abbiamo assistito al crollo delle vendite di automobili e al grido d'allarme che ne è conseguito. Ma io dico una cosa controcorrente: il privato ripartirà in maniera sostanziale. Forse proprio grazie a una tipologia nuova di automezzi, dedicati alla circolazione urbana. La loro definizione, però, passerà attraverso la regolamentazione pubblica. Mi spiego: sarà l'adeguamento delle reti viarie a decidere quel che succederà nel privato. Infatti, le città dovranno per necessità ridefinire lo spazio urbano e in questo nuovo assetto le diverse tipologie di veicoli dovranno seguire le loro piste, le loro regole di circolazione, la loro segnaletica. Ciò produrrà tipologie differenti, ben definite: dalla microcar, per l'utilizzo cittadino, fino alle vetture per uso intercity. Ma credo che, in futuro, girare nei centri urbani con qualsiasi tipo di vettura sarà impossibile.
Un cambio radicale di mentalità…
Si sentono molte polemiche sui 30 all'ora in città. In realtà, questo limite negli agglomerati urbani non deve scandalizzarci, tenuto conto che oggi la velocità media nelle grandi metropoli è di 12 km orari. Bisogna abituarsi all'idea di una circolazione più etica. Del resto, da qui a dieci o vent'anni il mondo sarà diverso. Una volta si fumava nei cinema e sugli aerei. Io ho provato a dire alla mia nipotina che fumavo al cinema e lei mi ha guardato con gli occhi sgranati. Se insegni ai bambini di oggi che in città si va a 30 all'ora, quando domani saranno automobilisti, andranno a 30 all'ora e la cosa sembrerà normale. Oggi noi facciamo fatica ad accettarla, ma dovremmo imparare a superare il concetto di velocità stop and go e passare a quello di velocità slow motion.

Cioè? Può esplicitare meglio questa visione?
È la visione di veicoli che si muovono lentamente, ma costantemente. Un cambio di paradigma che dovrebbe investire anche il trasporto pubblico, superando il modello che prevede di collegare due punti geografici alla massima velocità possibile. Butto lì una provocazione: impariamo dai tapis-roulant, dalle scale mobili, dalle seggiovie, tutti mezzi che prevedono un movimento continuo, con sistemi di frizione che li portano a rallentare fino quasi a fermarsi per fare salire e scendere le persone, superando il vecchio concetto di fermata. Negli aeroporti e nei centri commerciali, i flussi delle persone sono ininterrotti proprio per questo, perché non c'è stop and go. Si potrebbe immaginare una sorta di people mover con uno schema a bruco, con sedili tipo seggiovia, da cui sali e scendi di continuo, senza più la gente ammassata nelle stazioni. Si potrebbero sfruttare le nostre reti tranviarie, dove non possiamo continuare a proporre i mezzi di cent'anni fa.
Tornando al privato, come immagina quelle nuove citycar di cui parlava?
Non parlo neppure di citycar, ma di micromobilità: un mezzo semplice, dalla guida intuitiva, monoposto o biposto, agile nel traffico, magari addirittura con dimensioni regolamentate, in modo da definire l'impronta al suolo, i parcheggi e così via. Dovrebbe anche essere facilmente igienizzabile: sedili sfoderabili, superfici lavabili… Ridotto impatto ambientale, con un'unità elettrica, meglio al posteriore, e baricentro basso per aumentarne la stabilità.
Quest'ultima osservazione anticipa un'altra domanda. La sicurezza?
Deve essere un elemento centrale. Però ricordiamoci che sarebbero mezzi destinati a muoversi a velocità ridotta, quindi non è detto che debbano avere gli stessi identici requisiti di un'automobile tradizionale. Per esempio, penso agli airbag studiati per le moto o per gli sciatori... Non è escluso che questo tipo di vettura possa avere airbag esterni oppure indossabili dai passeggeri… Ti metti un semplice giubbetto e, in caso di urto, fuoriesce un airbag che ti protegge collo e testa. Ciò ridurrebbe costi, peso e complicazioni progettuali. Con la stessa ottica di risparmio si può pensare a carrozzerie in materiali termoplastici, così che non devi rifarle a ogni piccola botta. Il peso è un altro elemento chiave. Oggi vedo sul mercato tante auto, anche elettriche, la cui ecosostenibilità è tutta da dimostrare. Se devo muovere un veicolo da 2.500 chili, con 700 chili di sole batterie, mi spiegate dov'è sostenibile? Non è questa la mobilità elettrica che vogliamo. Bisogna mettere in campo altre cose: la leggerezza, l'aerodinamica, la semplicità...

L'unica cosa che manca all'appello, nell'identikit di questi veicoli, pare sia l'emozione...
Dipende da come le si progetta. Bisogna pensarle dal foglio bianco. Guardate le tante macchinine per la guida senza patente, tipo Ligier, per intendersi. Hanno sempre cercato di trasferire il design di un'auto normale su una scala miniaturizzata. Il risultato è spesso caricaturale, perché, con quella taglia, non hai le dimensioni sufficienti per fare un design di quel tipo e avere proporzioni corrette. Dimentichiamoci il davanti, il dietro, l'aerodinamica, che tanto devono muoversi a 30 all'ora. Guardiamo all'ergonomia, alla praticità, al rapporto con l'esterno. Io mi vedo carrozzerie semiaperte, che anche andando piano ti fanno già percepire la brezza e un certo senso di velocità, quindi un embrione di emozione. Ecco, se qualcuno pensa che dovremo muoverci su elettrodomestici, che vanno da A a B, io dico: non è vero. Ci sono tanti modi per mantenere il legame emotivo con un veicolo. Il design può fare la sua parte. E poi c'è la personalizzazione... Se fai una caricatura di un'auto grande, non puoi giocare più di tanto, se non cambiando colore agli specchietti o a qualche profilino. Invece, immaginiamoci un veicolo di base, semplice, che poi si possa arricchire con accessori specifici, la cui realizzazione può essere affidata anche ad aziende terze, tramite accordi commerciali.
Però siamo in una fascia di mercato a bassa redditività. Alle Case interesserà?
Si dice che si guadagni solo sul lusso. Sì, ma anche sull'accessorio. E poi, in ogni caso, è vero oltre un certo livello di investimento. La Piaggio non ha fatto la fame con la Vespa o con il Ciao. Dipende dal prodotto che fai.
Insomma, secondo lei, l'industria è pronta per questa nuova frontiera...
Io vedo alcuni segnali. Restando nel mio piccolo, la BRC mi ha chiesto aiuto per una microcar che punta in una prima fase ai resort turistici e in una seconda ai centri urbani, per la quale sono già arrivate manifestazioni d'interesse. Poi, una Casa come la Citroën ti presenta, già prima del Covid, un'auto intelligente come la Ami. Ecco, a me piacerebbe vedere i costruttori reinventare la Fiat 500 degli anni 50, la Citroën 2CV, mezzi che interpretino una nuova ondata di motorizzazione di massa dedicata alle città. E la politica fare la sua parte per dare impulso all'innovazione.
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