Mattina del 6 agosto del 1945. Non una mattina tranquilla a Hiroshima, ché in un Paese in guerra dal 7 dicembre del ’41, giorno dell’attacco aereo alla base navale americana di Pearl Harbor, tranquilli non si può mai stare. Nulla, però, lasciava presagire quanto sarebbe accaduto in quel fatidico giorno, destinato a dividere la storia del mondo in un prima e un dopo. Alle 8 e 15 del mattino un unico aereo solca il cielo di quella parte di Giappone: è un quadrimotore americano B-29, denominato Enola Gay e partito da un’isola dell’arcipelago della Marianne. Sgancia su Hiroshima la prima bomba atomica di tutti i tempi. Little Boy, ragazzino, com’è chiamato l’ordigno carico di uranio arricchito, ha una potenza distruttiva quasi inimmaginabile: i suoi 15 kilotoni, pari a 15 mila tonnellate di tritolo compresse in un oggetto relativamente piccolo (era lungo solo 3 metri e largo una settantina), esplodendo a un’altitudine di poco più di 570 metri dal suolo distruggono, vaporizzano, smaterializzano la città. Le persone, gli animali, gli oggetti, le case, le fabbriche. Muoiono, in pochi istanti, decine di migliaia di persone, non meno di 60 mila; ma le vittime, nei mesi successivi, saranno molte di più, probabilmente oltre 100 mila, per l’esposizione istantanea alle radiazioni fatali. Per chi sopravvive, è un inferno: pelle che brucia e si lacera, sete indomabile di acqua che, ormai, è irrimediabilmente contaminata, bambini sepolti dalla macerie. Ma c’è qualcosa che, incredibilmente, si è salvato.
Con il motocarro Mazda Go compare per la prima volta nel 1931 il nome Mazda
Aleggia uno spirito. Hiroshima (nome che significa “grande isola”, trovandosi nel delta del fiume Ōta), infatti, a quei tempi è una fiorente città industriale, che già dal XIX secolo dispone di un porto e di linee ferroviarie e che prospera per il commercio di prodotti locali. Tra i quali rientrano anche i surrogati del sughero, prodotti da un’azienda fondata nel 1920 e chiamata Toyo Kogyo. È l’uomo d’affari Juiro Matsuda, figlio di un pescatore arricchitosi con le imprese da lui fondate, a trasformare nel 1921 l’azienda, in crisi per il calo della domanda di sughero, in un’industria di mezzi di trasporto, il cui maggiore successo arriverà dieci anni dopo con un motocarro. Si chiama Mazda Go, ha tre ruote, un motore di 485 cm3, può trasportare un carico di 200 kg ed è un successo commerciale. Ma è anche il primo veicolo a venire chiamato col nome Mazda, che richiama quello di Matsuda, ma, al tempo stesso, deriva da Auhra Mazda, dio dell’armonia, dell’intelligenza e della saggezza nelle antiche civiltà asiatiche. Quando l’atomica cade su Hiroshima, la Mazda è un’azienda prospera, che ha già prodotto migliaia di motocarri in varie evoluzioni e allestito, nel 1940, anche il prototipo di una piccola auto, la cui produzione viene però bloccata dall’entrata del Giappone nel conflitto mondiale. La sua fabbrica ha una peculiarità: si trova nel distretto sud-orientale della città, a qualche chilometro di distanza dal punto focale dell’esplosione, parzialmente riparata dal monte Hijiama. I danni, pur gravi, non sono quindi totali e una parte dei dipendenti si è salvata. E sono proprio loro che, una volta ripresisi dallo choc e presa consapevolezza della desolazione che li circonda, si prodigano per portare soccorso ai sopravvissuti. Distribuiscono acqua e medicine; sgomberano parte degli edifici dello stabilimento per dare riparo alle famiglie rimaste senza una casa, aiutandole a ricomporsi; trasformano gli stanzoni in ospedale per dar modo di lenire le terribili ferite. Gli uffici vengono messi a disposizione del governo locale, rimasto privo di una sede. Nell’ora più buia, proprio come quella vissuta dagli inglesi durante le ondate di bombardamenti tedeschi su Londra, si accende una fiamma, quella che sarà chiamata lo Spirito di Mukainada, dal nome del distretto in cui si trova la fabbrica. Uno spirito di solidarietà, fratellanza, aiuto nel momento del maggior bisogno, intriso al tempo stesso, della volontà di non arrendersi, della voglia di ripartire subito, anche al prezzo di sfide apparentemente insuperabili. Qualcosa di cui – a ben vedere – la nostra Italia ha più che mai bisogno in un momento come questo, in cui è chiamata a confrontarsi con un altro dramma, quello dell’epidemia del coronavirus, mai vissuto in precedenza.
Il momento del lancio della R360 Coupé
Si riparte. Passeranno solo quattro mesi prima che, nel dicembre del ’45, alla Mazda la produzione di motocarri (i tre ruote Type GA) possa ricominciare. Un tempo che può sembrare incredibile, se si considerano le condizioni in cui era ridotta la città. E anche questo, per i sopravvissuti, è un segno importante, un piccolo ma fondamentale passo sulla strada della rinascita. Gli anni successivi vedono la produzione ampliarsi con modelli destinati al trasporto di passeggeri (che ricordano la nostra Ape), poi con camioncini a quattro ruote per le merci, poi ancora con veri camion, in grado di caricare fino a una tonnellata di materiali. Infine, nel 1960, arriva la prima auto: è una piccola e simpatica sportiva, chiamata R360 Coupé, spinta da un bicilidrico a V raffreddato ad aria di soli 356 cm3, come richiesto in Giappone per le vetturette, le cosiddette kei car che godono di facilitazioni normative). È in grado di erogare 16 CV e di spingere la vettura, che pesa a vuoto circa 380 kg, fino a 90 km/h. Le dimensioni ridotte (avrebbe quattro posti, ma ci si sta bene solo in due) e la sua leggerezza la rendono molto parca nei consumi, tanto da consentirle di percorrere fino a 32 km con un litro; la gamma comprende anche una versione con il cambio automatico e il prezzo ragionevole la rende un sogno accessibile per molti lavoratori. Poco dopo il lancio, nel solo dicembre del 1960, ne vengono già venduti oltre 4.000 esemplari; la produzione proseguirà fino al '69, per un totale di 65.737 unità.
La Mazda 360 Carol a quattro posti (1962)
Quattro per quattro. Negli anni successivi, la gamma della 360 è destinata ad ampliarsi: i primi ad arrivare, nel ’61, sono un pick-up e un piccolo van, poi, nel febbraio del ’62, è la volta di una vera e propria berlina a quattro posti, sia pur in scala ridotta, la Carol 360, equipaggiata con un quattro cilindri a quattro tempi raffreddato ad aria di 358 cm3, disponibile dal settembre dello stesso anno anche nella versione a quattro porte. Il cammino, iniziato con coraggio quel tragico giorno del 1945, è ben avviato. Anche perché, nel luglio del 1961, Tsuneji Matsuda, diventato presidente dell’azienda nel dicembre del ’51, ingegnere e grande appassionato di tecnologia, ha sottoscritto un contratto con una Casa tedesca. È la NSU, che sta sviluppando un motore di tipo diverso, ideato da un signore di nome Felix Wankel. Ma questa è una storia diversa, fatta di modelli innovativi e destinati a diventare iconici, sulla quale torneremo presto.
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