Buon compleanno Giorgetto, e buon compleanno Italia. Sì perché pochi altri designer sono riusciti come Giugiaro, che il 7 agosto festeggia 85 anni, a dare forma a un’intero Paese, a generazioni di automobili popolarissime che hanno fatto costume, quotidianità, vita reale di tanta gente. E, accanto ad esse, a una pletora di oggetti d’uso comune, dalle macchine fotografiche agli elettrodomestici, dalle biciclette ai pattini, dalle macchine del caffè alla pasta, dalle barche ai treni, dai telefoni agli orologi. Insomma, tanta parte del vissuto nazionale, reca, che ne siamo consapevoli o no, la firma di questo talento che da ragazzino voleva semplicemente fare il pittore e che invece ha segnato la storia del design a cavallo di due secoli.

Analisi di un fenomeno. Sono circa duecento i modelli di automobili di serie firmati dalla matita più famosa d’Italia, equivalenti, in termini di volumi prodotti, a oltre cinquanta milioni di vetture, con un calcolo probabilmente approssimato per difetto. Ovvio che su Giugiaro siano stati versati fiumi di inchiostro, tra libri, saggi, articoli giornalistici. Per ripercorrere le tappe della sua carriera potremmo riempire colonne intere di piombo. E non è il caso. Piuttosto mi piacerebbe cogliere l’opportunità che ci dà questa ricorrenza per cercare di tratteggiare, in estrema sintesi e in modo giocoforza parziale vista la complessità e la statura del personaggio, dove stia la grandezza di questo maestro dello stile.
Fiat Uno compie 40 anni: parola a Giugiaro
Il paradigma della semplicità. Un tratto che mi ha sempre colpito di Giugiaro – nominato nel 1999 “car designer del secolo” e unico vivente nella Automotive Hall of Fame – è la semplicità: cifra stilistica del suo lavoro e sua stessa chiave interpretativa. Quando parla dei suoi progetti, Giorgetto riesce a far sembrare tutto, persino i lavori più complessi, estremamente normale, naturale, ordinario. Insomma, “facile”. Sarà anche l’umiltà del personaggio, ma un fatto è certo: il designer piemontese non aggiunge mai risvolti epici al suo racconto. Forse perché non ce n’è bisogno. Auto come la Volkswagen Golf, l’Alfa Romeo Alfasud, le Lancia Delta e Thema, le Fiat Panda, Uno (qui sopra trovate la video-intervista per i 40 anni), Punto, parlano da sole (qui la gallery dedicata alle torinesi di Giugiaro). Tutte capaci di portare innovazioni che hanno fatto scuola: il portellone avvolgente della Golf, Il montante a trapezio della stessa Golf e della Delta, l’assenza dei gocciolatoi e i finestrini a filo inaugurati dalla Isuzu Piazza del 1981 e poi applicati alla produzione successiva, a cominciare dalla Punto, l’essenzialità geniale della Panda...

Parola d’ordine, concretezza. Uno dei segreti della grandezza di Giugiaro, e del successo dei modelli da lui concepiti, sta nell’approccio funzionale al design e nel sodalizio con il socio Aldo Mantovani, ingegnere e portatore del fattore tecnico nell’equazione. È così che l’Italdesign, fondata dai due nel 1968, si è presto imposta come un affidabile partner per le case automobilistiche, in grado com’era di consegnare pacchetti chiavi in mano, completi del lato ingegneristico e degli studi di industrializzazione. Giugiaro in più di un’occasione ha sottolineato l’importanza di questo approccio concreto, volto a fornire al cliente finale un prodotto che risponda ai suoi bisogni. “Io mi sento il primo compratore dell’auto che mi accingo a disegnare”, ha dichiarato. Tutto ciò suggerisce la tentazione, a uno sguardo superficiale, di relegare un talento geniale nello stereotipo di disciplinato interprete delle esigenze dell’industria. Ma sarebbe uno sbaglio.
Inventare il futuro. In realtà Giugiaro quelle esigenze ha sempre saputo anticiparle, con un’apertura mentale al nuovo che continua a caratterizzare il suo approccio anche oggi, oltre la soglia degli ottant’anni. Alcune delle soluzioni anticonformiste da lui preconizzate sono diventate “regola” universale qualche decennio più tardi. La seduta eretta e rialzata, gli studi sull’abitabilità, il pavimento piatto, la carrozzeria coupé sollevata da terra sono tematiche ricorrenti della narrazione giugiariana che si sono poi tramutate in trend di mercato consolidati. Della tecnologia non ha mai avuto paura, né l’ho mai sentito rifugiarsi in nostalgiche “comfort zone”. “Tracciare l’idea su un foglio bianco è un esercizio che di fatto rimane ancora oggi, cambia solo l’attrezzo. I ragazzi schizzano con un sistema che non ti fa perdere tempo, come avveniva con la carta, insomma usano un altro tipo di matita, ma rimangono sempre i momenti in cui metti, su un foglio o su un supporto (elettronico, ndr), una visione”, dice in una bellissima intervista rilasciata a Carlo Cavicchi, ex direttore di Quattroruote, e pubblicata nel libro di Giuliano Molineri “Giorgetto Giugiaro - Le strade del design” edito da Rizzoli.
Due anime, una sintesi. Del resto non puoi ingabbiare uno così in definizioni rigide. Tradizionalmente attento alla funzionalità e all’accessibilità, il Giorgetto nazionale ha tuttavia disegnato la sua bella dose di “auto in cui si faticava a starci dentro, e penso alla Mangusta o alla concept Alfa Canguro (era alta 105 cm, ndr), fatta quando ero alla Bertone”, come mi ha ricordato in una conversazione recente. Auto edonistiche, che rispondevano alla pura ricerca del bello. Stretto tra queste due anime – razionalità e creatività, rigore e libertà – Giugiaro ha sempre dato di ognuna la più alta espressione. Una bella sintesi la offre lui stesso nel paragrafo introduttivo del già citato libro di Molineri: “Per sua natura il design rappresenta un (…) compromesso tra la creatività e la produzione artificiale, e i valori ad essa imposti dall’industria e dal mercato. Il design deve mantenere un’insostituibile funzione di mediazione tra l’uomo e gli oggetti (…) del suo quotidiano. Deve richiamarsi ai dettami dell’utile e all’idea platonica del Bello; deve preconizzare i cambiamenti nell’aria (…), confrontandosi con il mondo stimolante delle nuove generazioni, che rappresentano il nuovo che avanza”. Che poi è anche una delle migliori definizioni del mestiere che Giugiaro ha fatto fino a 85 anni e che continua a fare. Buon lavoro, Giorgetto.
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