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Industria e Finanza

Le grandi interviste
Mike Robinson, da designer a imprenditore

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La nostra rassegna "Le grandi interviste", con cui vi riproponiamo gli esclusivi colloqui che i nostri giornalisti hanno avuto negli scorsi anni con personaggi di spicco del mondo dell'auto, prosegue con un designer californiano ma torinese d'adozione, "firma" di modelli come la Fiat Bravo o le Lancia Ypsilon e Thesis: Mike Robinson. Nato a Whittier, in California, il 2 maggio 1956, Robinson studia architettura e successivamente decide di dedicarsi al car design. Nel 1979 arriva in Italia a lavorare in piccoli atelier. Nel 1986 Chris Bangle lo chiama alla Fiat; diventa responsabile dello stile Lancia nel 1996 e nel 2001 dirige quello della Fiat. Lascia l’azienda nel 2005 e nel 2009 è capo della Bertone fino al fallimento dell’azienda, nel 2013. L’anno seguente fonda, con Davide Pizzorno, la ED Design. Nel 2016 Laura Confalonieri è andata a Torino, nell'atelier creato proprio da Robinson, per intervistarlo: di seguito potete trovare il testo integrale del colloquio.



Ci accoglie nel suo atelier alle porte di Torino avvolto in un cappotto di pelle nera lungo fino ai piedi, che ricorda quello di Keanu Reeves in Matrix. A vederlo così, e a guardare la Torq, la sua interpretazione di auto di domani, Mike Robinson sembra tutto proiettato nel futuro. Noi, invece, vogliamo farlo parlare degli ultimi dieci anni. Un periodo intenso, per il mondo dell’auto. E anche per lui: ha vissuto l’uscita dal gruppo Fiat, poi è stato responsabile dello stile della Bertone fino al 2013, quando è fallita. L’anno dopo, si è lanciato in una nuova avventura imprenditoriale, con la ED Design. Un ottovolante di eventi, che ha affrontato con grinta e molta voglia di rimettersi in gioco.

Nel 2006 aveva appena lasciato la Lancia: che anni sono stati?
Burrascosi. Come tutta la mia carriera, del resto. Non sono mai stato uno lineare. Ho bei ricordi degli inizi: eravamo io, Chris Bangle e Walter de Silva, lavoravamo insieme, ci divertivamo. La Fiat è stata una buona scuola. Quando ho avuto i miei problemi con l’azienda, però, per due anni ho avuto bisogno di uno stop. È stato allora che ho cominciato a collaborare con Quattroruote: è stata una bella opportunità per poter dire liberamente quello che pensavo.

Quello è il periodo dei grandi matrimoni dell’auto. Per il design sono un’opportunità o un rischio?
È stato un momento di grande confusione. Perché, soprattutto all’inizio, ha portato a operazioni di rebadging sbagliate. Penso alla Lancia Thema o ad altri casi simili. Fanno malissimo al design. Ma va detto anche che, grazie a queste fusioni, ci sono più progetti sui quali lavorare. L’unione Renault-Nissan, per esempio, ha creato un gruppo potentissimo. Due mondi diversi, che non potrebbero stare sotto lo stesso tetto. Eppure, se c’è un grande leader carismatico come Ghosn, si riescono a tenere insieme.

Non c’è il rischio di snaturare lo stile, di fare auto troppo simili?
A volte sì. Ma il potere del designer è incredibile: se è davvero bravo, riesce a lasciare il segno, a influenzare. Certo, oggi è difficile tirare fuori concetti nuovi e lo sarà sempre di più. Quelli che vanno fuori dal seminato sono i geni come Bertone. La sua Stratos Zero era bellissima: lui ha usato come porta d’ingresso il parabrezza, una rivoluzione. Quando l’ho vista, ho deciso di disegnare auto. Rompere le regole, per me, è diventato uno stile di vita.

Mike Robinson, da designer a imprenditore

Quali sono, secondo lei, gli influencer di questi ultimi anni?
Laurens van den Acker, per esempio. Alla Mazda ha fatto concept car spettacolari. Poi è andato alla Renault, con il compito di ripensarne lo stile. Subito ha fatto la concept Desirée, bellissima, poi la Clio, cancellando la storia precedente in un attimo. Anche Martin Smith della Ford è un grande: ha disegnato la Fiesta, la Mondeo, la Kuga. Economiche e splendide. Questi sono i giganti. Non solo quelli che fanno Rolls-Royce. Intendiamoci: Ian Cameron è bravissimo, ma il suo lavoro è più facile. Con la Fiesta hai meno spazio e meno soldi.

Le norme sono diventate più stringenti. Hanno limitato i designer?
Si, molto. Tutto quello che Bertone aveva potuto fare, oggi è vietato. I frontali sono diventati quasi tutti uguali. La Dialogos, nel '98, è stata la prima berlina senza paraurti. Poi, con le nuove regole per la protezione dei pedoni, quello è divenuto uno standard e tutti hanno dovuto fare il frontale così. Ciò che era vincolante, però, è diventato liberatorio: si sono potuti evitare certi dislivelli sgradevoli.

Nuovi materiali si sono affacciati sulla scena: vi hanno aiutato a innovare?
Finalmente è entrata tecnologia un po’ più spinta per sperimentare. La Lamborghini con la fibra di carbonio e l'Audi con i proiettori a Led sono stati i precursori in questo. La lamiera, in qualsiasi direzione tu la tiri, si comporta allo stesso modo. Invece i compositi agiscono in modo diverso secondo l’angolo d’impatto. Questo trasforma la produzione delle carrozzerie, riducendo il peso e aumentando la rigidezza, che va solo dove serve.

È anche il periodo dell’affermazione delle Suv: le piace il genere?
Le Suv per me sono state fantastiche, perché hanno dato dignità alle due volumi, auto che nessuno sognava. Poi, è arrivato qualcuno che ha detto: «Alziamole da terra, mettiamole delle gomme grosse, facciamole più grintose». E sono diventate di moda. È un fenomeno enorme: noi, solo nel 2015, ne abbiamo disegnate sette. Tante si somigliano, ma si cerca di dare una riconoscibilità. C’è una curiosa schizofrenia delle Suv: nascono per la campagna, ma si usano in città e quasi mai se ne sfruttano le caratteristiche. E lo dice uno che ha una Evoque...

Mike Robinson, da designer a imprenditore

Com’è il design, ai tempi della crisi?
Un disastro: c’è depressione nelle aziende, dunque anche i progetti più belli vengono messi da parte perché manca il coraggio. Eppure, un buon manager investe di più in tempo di crisi. Perché quello è il miglior modo per uscirne. Guardate il caso della Hyundai: hanno fatto un lavoro bellissimo. Volevano superare la Lexus come qualità e la BMW come stile. Hanno creato a Francoforte un centro di design che ha fatto macchine incredibili. Sono entrati nel tunnel dietro al gruppo e ne sono usciti quarti al mondo.

La crisi ha colpito duramente i carrozzieri: ci può essere un rinascimento per lo stile italiano?
Questo atelier è la dimostrazione che la risposta può essere sì. Non senza fatica. Dobbiamo riportare in vita il distretto che chiamano Design valley. I big three, Pininfarina, Italdesign e Bertone, hanno (o avevano, nel caso della Bertone) grandi strutture, costose da gestire. Oggi è impensabile mantenerle. Per questo abbiamo un’organizzazione snella. Si realizza tutto con il digitale, tranne i modelli: quelli sono irrinunciabili. Certi difetti li senti solo se metti le mani sulla superficie.

Che regalo vorrebbe per i 60 anni?
Vedere la Torq in pista. Il futuro è quello: l'auto elettrica toglierà il problema dell’inquinamento, quella autonoma quello delle morti per incidenti. Se sarà sexy, meglio. Non dev'essere necessariamente la scatoletta di Google. Infatti, ora a Mountain View stanno cercando car designer. Anche noi guardiamo in quella direzione. Con una missione: portare avanti lo spirito di Nuccio Bertone. Mi ha dato molto e io vorrei dare altrettanto ad altri giovani.

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