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Industria e Finanza

Mitsubishi
Al via la ristrutturazione: i giapponesi lasciano l'Europa

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Addio all'Europa. Nell'ampio piano di ristrutturazione annunciato dalla Mitsubishi per contenere le perdite di volumi e di bilancio, legate anche alle conseguenze della pandemia del coronavirus, c'è l'uscita immediata e quasi integrale dal mercato del Vecchio continente. Non solo: nel giro di un anno, la Casa dei tre diamanti fermerà pure la produzione della Pajero, uno dei suoi modelli più famosi.

Gamma al termine. Per l'Europa è stato deciso di "congelare" sin da subito il lancio di nuovi modelli: la Casa giapponese, che nel 2019 fu protagonista di un increscioso incidente diplomatico con Quattroruote (a cui cercò d’imporre la rimozione da una Prova su strada di alcune frasi sgradite), proseguirà le attività di commercializzazione dell'attuale gamma fino alla termine del ciclo di vita, portando avanti tutti i servizi post-vendita. Non si tratta, comunque, di una novità inattesa: nel quadro del nuovo modello operativo dell'Alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi, alla Casa dei tre diamanti era stata assegnata esplicitamente la responsabilità del Sud-est asiatico, il che faceva presagire la possibilità di un addio all'Europa ma certo non nei modi annunciati oggi. Gli altri mercati di riferimento per la Mitsubishi saranno l'Africa, l'Oceania e il Sud America.

Cosa succede in Italia. Giuseppe Lovascio, direttore generale della filiale italiana della Mitsubishi, spiega che il mercato della penisola "continuerà a essere presidiato attraverso l’attuale struttura che, in quanto parte dell’importatore e distributore gruppo Koelliker, non verrà impattata. Il nostro impegno", aggiunge il manager, "rimarrà il medesimo per garantire ai clienti attuali e futuri lo stesso livello di offerta, proposizione e consulenza di sempre. La strategia italiana farà infatti leva sull’interlocuzione diretta con il Giappone per gestire al meglio la situazione e i modelli che hanno già visto il loro ingresso in Italia, come L200, o che saranno lanciati a breve, come Space Star". Secondo Luca Ronconi, amministratore delegato del gruppo Koelliker, Mitsubishi Motors Italia e la sua rete di concessionari resteranno a disposizione della clientela sia "per l’acquisto di nuovi modelli, sia per tematiche inerenti all’assistenza post-vendita".

Chiusa la fabbrica di Sakahogi. L'uscita scena della Pajero, comunque già nell’aria da tempo dopo il lancio della Final Edition, è stata confermata a dispetto delle indiscrezioni della stampa giapponese sulla presunta intenzione di lanciare, durante il 2021, una nuova generazione della fuoristrada grazie alla condivisione di parti e componenti con la Nissan Patrol. Lo stop determinerà la chiusura, dal 2023, anche del suo sito di produzione, lo stabilimento nipponico di Sakahogi, che l'anno scorso ha sfornato appena 63 mila veicoli, poco meno del 10% delle vendite totali della Mitsubishi in Giappone. Gli altri modelli prodotti nella fabbrica della prefettura di Gifu, tra cui l'Outlander e la Delica, saranno trasferiti a Okazaki (prefettura di Aichi), le cui catene di montaggio assemblano già la Eclipse Cross e la Rvr (venduta in Europa con il nome Asx).

Focus sull'Asia. L'addio alla Pajero si aggiunge ad altre misure di ristrutturazione, volte a tagliare di almeno il 20% i costi operativi fissi. I vertici della Mitsubishi hanno annunciato anche l'intenzione di tagliare la forza lavoro (la maggior parte dei 900 operai di Sakahogi sarà licenziata), di ridimensionare la rete di vendita e di ridurre la presenza non solo in Europa, ma pure in Nord America, per concentrare tutte l'attenzione sui mercati asiatici.

Le perdite. La cessazione della attività nella fabbrica di Sakahogi rappresenta praticamente un unicum nella storia del costruttore. L'ultima chiusura di un impianto in Giappone, infatti, risale a quasi venti anni fa, a dimostrazione di quanto sia diventata difficile la situazione negli ultimi anni. La prova è nei risultati trimestrali: con le consegne dimezzate a circa 127 mila unità, i ricavi sono scesi di oltre il 57% fermandosi a 229,54 miliardi di yen (1,86 miliardi di euro), il risultato operativo è passato da un utile di 3,86 miliardi a una perdita di 53,34 miliardi (430 milioni di euro) e il risultato netto da un utile di 9,3 miliardi a un rosso di 176,16 miliardi (1,43 miliardi). L'andamento del primo trimestre, unito alle prospettive fosche legate alle conseguenze della pandemia, hanno inoltre spinto i vertici aziendali a prevedere una chiusura di bilancio annuale in rosso per il secondo anno di fila e con la peggior perdita operativa dal 2002.

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