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Industria e Finanza

Ferdinand Piëch
Mezzo secolo tra le automobili [video]

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Ha attraversato più di mezzo secolo della storia dell'automobile, incidendo non poco su di esso. Tanto che le dimissioni di Ferdinand Piëch dal consiglio di sorveglianza del Gruppo Volkswagen sono un fatto epocale. E un fulmine a ciel sereno: Piëch, alla bella età di 78 anni, non aveva nessuna intenzione di farsi da parte. Ma da manager navigato qual è, sa bene che uno scontro come quello aperto due settimane fa con l'amministratore delegato Winterkorn non ammette prigionieri. E stavolta il grande patriarca, che pure porta molti scalpi alla cintura, si era trovato quasi tutti contro. 

Venderà cara la pelle (come ha sempre fatto). Comunque è presto per scommettere che si tratti dell'addio definitivo di Piëch all'attività imprenditoriale nell'auto. Qualcuno lo aveva già ipotizzato nel 2002, quando aveva lasciato le cariche operative per assumere la presidenza del consiglio di sorveglianza. Invece da lì ha sempre continuato a governare i momenti topici del gruppo: la sfiducia all'allora ad, Bernd Pischetsrieder, e la sua sostituzione proprio con Martin Winterkorn nel 2006; il sorprendente ribaltamento di prospettive che trasformò nel 2012 la Porsche (di cui pure Piëch è azionista) da cacciatore a preda nei giochi per il controllo del Gruppo Volkswagen; la messa alla porta, nello stesso anno, del manager che aveva diretto la strategia di sviluppo della Casa di Zuffenhausen, con il varo della Cayenne, Wendelin Wiedeking (rievoca l'episodio il direttore nell'editoriale di Quattrouote di maggio). 

Gli esordi in Porsche e l'era Audi. La lunga carriera di Piëch aveva preso il via nel 1963, quando il giovane neolaureato in ingegneria Ferdinand, nipote di un altro Ferdinand, cognome Porsche, inizia a lavorare proprio nell'azienda di famiglia, collaborando alla 911 e assumendo la leadership nello sviluppo della leggendaria auto da corsa 917, vittoriosa a Le Mans. Quando dieci anni dopo, alla Porsche passa la regola che preclude ai membri della famiglia ruoli operativi, Piëch passa all'Audi, dove svolgerà un ruolo determinante nel compimento della trasformazione del marchio con gli anelli in un produttore technology-driven. Piëch è a capo dello Sviluppo tecnico quando, sul finire degli anni 70, prende il via la sperimentazione della trazione integrale permanente da cui, nel 1980, origina il fenomeno quattro. 

VW fa man bassa: gli anni delle grandi acquisizioni. Nel 1993 l'ingegnere austriaco (era nato a Vienna) diventa numero uno del Gruppo Volkswagen e ne orchestra quell'inarrestabile espansione che ancora oggi costituisce l'ossatura della strategia di Wolfsburg, una strategia portata abilmente avanti da Winterkorn, ma che risponde alla visione del grande demiurgo dell'industria tedesca. La fase delle acquisizioni era cominciata già nel 1986 con l'aggiudicazione del 51% del capitale Seat (divenuto il 100% nel 1990) e nel 1991 con l'ingresso nel 30% della Skoda. Ma è sotto il regno di Piëch che si perfeziona l'acquisto della Casa ceca (in due fasi, 1995 e 2000) e si aggiungono (nel 1998) tre gioielli al forziere di casa: Bentley, Bugatti e Lamborghini. Nel 2008 passa sotto le bandiere Volkswagen il produttore svedese di mezzi pesanti Scania, cui si aggiunge nel 2011 la Man. Nel 2012, come abbiamo visto, è la volta di Porsche, nonché del produttore italiano di moto Ducati. E Piëch, dipendesse da lui, non si fermerebbe qui. In pochi sono stati capaci di dirgli di no: tra questi ci sono Osamu Suzuki, il quale ha chiesto il "divorzio" per divergenze strategiche pochi mesi dopo aver ceduto il 19% delle azioni a Wolfsburg, e Sergio Marchionne che, finora, ha rintuzzato le ripetute avances rivolte all'Alfa Romeo. 

Progetti visionari e ostinazione tecnica: dall'iniettore pompa alla Veyron. La caparbietà di Piëch nel realizzare i suoi obiettivi strategici è stata pari solo a quella dimostrata nel perseguire i suoi progetti tecnici. Come quando si ostinò con la tecnologia dell'iniettore-pompa per i motori turbodiesel del Gruppo. La distribuzione common rail s'impose in breve tempo come il sistema più efficiente, ma la Volkswagen l'adottò tardivamente proprio perché si trovava costretta ad ammortizzare gli investimenti effettuati sulla soluzione fortemente voluta dall'ingegnere viennese. La Bugatti Veyron è stato un altro progetto controverso, lodato da molti, criticato da altrettanti, esempio fulgido del talento visionario di Piëch, ma anche costoso "gioco", alimentato dalla semplice voglia di dimostrare che un'auto stradale del genere, con un 16 cilindri da oltre 1.000 cavalli, si poteva fare. Di segno opposto la sfida dell'auto da un litro per 100 chilometri. "È la nostra Formula 1", soleva dire Piëch. Dopo diversi prototipi, la XL1 è diventata realtà. La determinazione del padre-padrone della Volkswagen ha vinto, ancora una volta. Anche se l'avveniristico siluro resta sostanzialmente un esercizio tecnico. 

Il dopo-Piëch. Ora che ha fatto un passo indietro, chissà che fine faranno certe visioni strategiche. Gli interrogativi cominciano adesso. A partire dagli assetti nel consiglio di sorveglianza: la famiglia Piëch-Porsche, che detiene il 51% delle azioni con diritto di voto, era rappresentata in consiglio da cinque membri. Con le dimissioni di Piëch e della moglie Ursula, si riducono a tre. Qualcuno, forse, saluterà l'uscita di scena di Piëch come la fine di una sorta di "tirannide". Ma di sicuro l'industria dell'auto perde uno dei suoi protagonisti più straordinari. E ci sono già analisti che, svaporata la figura autoritaria e carismatica che teneva insieme un colosso da 10 milioni di auto e otto marchi (contando solo quelli automobilistici), esprime qualche timore sulla tenuta futura dell'impero. 

Roberto Lo Vecchio

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