Cosa fareste con una WRC per le mani? (A Monza)
Lunedì mattina. Il team principal Andrea Adamo parla coi "suoi" di Hyundai Motorsport dopo il Rally di Monza. Tappa finale di una stagione importante per il Mondiale perché l’ultima di un’era puramente endotermica. L’anno prossimo arriveranno le WRC ibride plug-in e cambierà tutto. Telai tubolari condivisi (enorme lo sforzo della Fia in questo senso, per garantire la sicurezza delle auto in gara) su cui montare carrozzerie utili alle Case per comunicare la "loro" auto. Oltre alla loro tecnica. Si tratterà di una sorta di Gruppo B (ma la cosa va detta in silenzio perché nell’ambiente l’accostamento non piace), ma sicure. Ed elettrificate. Ne parliamo con Adamo, lui è entusiasta del nuovo regolamento del campionato WRC che prevede vetture ibride. Ma io e Lorenzo, oggi, siamo qui per altro: salutare, leva alla mano, una delle i20 Coupé su cui quest’anno hanno corso Neuville, Tanak, Sordo e Breen. "Leva alla mano", appunto, perché le guideremo, e la prescelta è proprio quella di Thierry Neuville che ha chiuso la stagione 2021 al terzo posto assoluto. Abbiamo ancora gli occhi sgranati da quando ci hanno comunicato questa possibilità esclusiva.
Tutto un altro mondo. Perché vedete, di auto ne abbiamo guidate, ma personalmente mai una WRC. E una WRC non è né una sportiva, né una super/hypercar. Ma una Formula 1 da rally. Gli uomini della Hyundai Motorsport ci mostrano il tracciato, invariato rispetto a quello su cui si è corso sabato e domenica 20-21 novembre. Non si percorre tutta la pista ma si taglia dentro sulla "junior" e le curve (o i rettilinei, come nel caso del traguardo) sono scandite da tornanti ricavati da blocchi di cemento attorno ai quali voltare "di leva". Il sogno di tutti noi appassionati, certo, ma vi posso garantire che un conto è sognare, un conto è ritrovarsi con un mezzo del genere tra le mani ed essere "obbligati" a farle quelle leve. Perché, per intenderci, con la macchina da ricognizione (una Hyundai Kona) in due o tre occasioni abbiamo dovuto fare manovra per quanto fosse stretto il tornante del caso. Insomma: la sana foga con cui ci eravamo destreggiati nel traffico per non arrivare in ritardo si è trasformata in una sana forma di soggezione. Strizza, per dirla alla volgar maniera.

Un passo alla volta. La procedura di messa in moto di un’auto come questa prevede, prima di tutto, di staccare il pc degli ingegneri dai connettori del caso. A quel punto ti viene spiegato cosa fare. Nonostante la sterminata distesa di pulsanti, in fin dei conti ciò che conta è l’interruttore generale (come nella miglior tradizione motorsport) e il tasto "start" messo insieme ad altri sul volante. La cosa importante, per partire, è che la leva del cambio sia in N. E il programma motore in una fase "base", di riscaldamento. Per la cronaca esistono altre otto posizioni-motore che non utilizzeremo ma che per i piloti sono fondamentali negli spostamenti, in gara (e a seconda di che gara sia); lo stesso tipo di fine tuning è possibile riservarlo al cambio, la sua usabilità insomma. Mentre per il sistema di trazione è formato da tre differenziali, di cui il centrale elettroidraulico. La cosa più importante è che il cambio, oltre a un ripetitore meccanico sulla sinistra della leva idraulica del freno a mano, si comanda da un unico paddle di grandissime dimensioni. Sta sulla parte destra del volante e va tirato per salire di marcia (sei in tutto) o spinto per scalare. Difficile a dirsi, ma ci si prende pratica in una manciata di chilometri. Tradisce, piuttosto un "finto paddle" sulla sinistra del piantone, del tutto simile a quelli che molte sportive hanno come classica paletta. Si tratta del sistema di attivazione dei tergicristalli. E Dio sa, scopriremo, quanto è utile.

Ci mancava la pioggia. Più che utile, il tergi, è imprescindibile. Perché oggi diluvia, tanto per complicare una situazione già piuttosto ansiogena di suo: un mezzo sofisticatissimo da un milione di euro sotto il fondoschiena, mai guidato prima, e un tracciato che nel gergo del motorsport è definibile tricky, che tradurrei in incasinatissimo. Una Hyundai i20 stradale non fa paura nemmeno a una mosca, ma l’omonima del WRC è qualcosa che fa venire i brividi soltanto da ferma, con quell’aerodinamica mostruosa, sgraziata ma tremendamente efficace, introdotta con il regolamento WRC plus. Mi sistemo al posto guida. Il sedile è molto arretrato, per favorire le masse, e il piantone dello sterzo lunghissimo, tant’è che mi ritrovo con le gambe stese e le braccia piegate, forse fin troppo.
Mi fido di te. Tasto start sul volante e il millesei turbo da 380 cavalli e 450 Nm parte con un bel suono cupo e rabbioso. Giù frizione, che si usa soltanto per le manovre da fermo, e ingrano la prima tirando il grosso e unico paddle sulla destra. Mi basta sentire il classico "clac" meccanico del sequenziale per capire che la marcia è entrata, ma nel dubbio butto l’occhio anche al piccolo display digitale incastonato in quella che una volta era la plancia della i20. La frizione, come su tutte le macchine da corsa, non è molto modulabile (doppio disco cerametallico), ma in qualche modo riesco a evitare la figuraccia di spegnerla al primo colpo. Percorro la pit lane di Monza accelerando e frenando contemporaneamente per scaldare un po’ i freni e capire la modulabilità del pedale, che va usato preferibilmente col sinistro. E nel frattempo ruoto il manettino della mappa motore sulla posizione 2 e attivo il tasto Stage, ossia una delle tarature che vanno usate in speciale per sfruttare l’antilag, il sistema che mantiene la turbina sempre in pressione anche nelle fasi di rilascio. Sul display compare la scritta "Stage" ma anche in questo caso non è necessario guardarla, perché il motore cambia totalmente tono di voce e l’acceleratore diventa più reattivo.

Non facciamo scherzi. In tutto questo, sono già sul rettifilo dopo l’Ascari e soltanto qualche centinaio di metri mi separa dall’incubo della prima leva, con i due strettissimi tornanti a 180 gradi che mi aspettano con ghigno diabolico all’ingresso della Parabolica. Quindi alzo il ritmo, cerco di capire alla meno peggio come si comporta la Hyundai in mezzo a un paio di chicane artificiali e ripenso a tutte quelle volte in vita mia che, in un parcheggio deserto e innevato, mi sono lasciato andare ai piaceri della leva. Cerco di approcciare il primo tornante con una buona velocità, butto giù tutte le marce fino alla prima e a qualche metro dall’ingresso della strettoia tiro verso di me la fatidica levona del freno a mano idraulico; come la sfioro sento il retrotreno che parte in sovra, attendo l’angolo giusto, mollo la leva e vado sul gas, con il traverso che prosegue di potenza; non ho nemmeno un attimo per godermi la manovra che subito dopo ce n’è un altro identico in direzione opposta: frena, accelera e ripeti, mi son detto. Esco indenne anche dal secondo ostacolo, sgusciando fra i blocchi di cemento, e penso: o è stata una gran botta di fortuna, oppure le WRC sono macchine studiate per fare esattamente ciò che vuoi nella maniera più naturale possibile. Dunque alzo il ritmo progressivamente. Freno sempre un po’ più tardi, con il grip che è buono nonostante le condizioni d’aderenza e l’assenza di Abs, e inizio a sfruttare tutto il motore.

Questo sì che è grip! Fuori dalle curve impressiona il grip meccanico della 4x4, l’omogeneità della ripartizione della coppia e, perché no, la castagna del millesei turbo, che spinge fortissimo ma si esaurisce in fretta; neanche mezzo rettifilo fra Ascari e Parabolica e sei quasi a limitatore di sesta. Altri tornanti e altre leve. In frenata e accelerazione si percepisce bene il beccheggio e in curva quel po’ di rollio; la Hyundai ti parla chiaro e trasmette in maniera non filtrata tutto quello che sta facendo. Sono sempre più dell’idea che lo sviluppo di queste auto sia fatto in funzione della massima facilità di controllo, per garantire al pilota margine di recupero. Anche perché io sto viaggiando nemmeno a un terzo delle sue reali potenzialità lungo una speciale che non è certo una tappa del rally di Finlandia. Ma quando la guidi per davvero, volando a duecento all’ora in mezzo agli alberi su neve o sterrato, bisogna che fra pilota e macchina ci sia un rapporto di fiducia che va oltre l’umana comprensione.
Sano frastornamento. Insomma: mai come oggi scendere dall’auto è stato un rincorrersi di sentimenti contrastanti. Da un lato la certezza di avercela fatta, di aver riportato a casa sano e salvo un mezzo decisamente diverso dal solito e assolutamente folle nelle sue prestazioni potenziali. Dall’altro la voglia di risaltarci sopra perché adesso che ci avevamo preso la mano, stava decisamente per cominciare il bello. Probabilmente una delle più belle esperienze di guida della nostra vita. Non resta che tentarne un’altra…
COMMENTI([NUM]) NESSUN COMMENTO
Per eventuali chiarimenti la preghiamo di contattarci all'indirizzo web@edidomus.it