La sigla è di quelle importanti. Una lettera e un numero che, negli anni 80, sono stati legati niente meno che a quell’Audi quattro Gruppo B che ha inventato la trazione integrale nei rally. Ma la protagonista della nostra prova, l'Audi S1 del terzo millennio, altro non è che la versione cattiva della piccola A1 ed è il classico oggetto che nel mondo anglosassone chiamano hot hatch: in pratica, una piccola due porte supercattiva con quattro scarichi e un due litri da 231 CV. Su un’Audi, parlare di finiture significa di solito mettere in fila solo dei gran superlativi, e pure sulla più piccola delle "Esse" la sensazione generale è di notevole qualità, anche se alcuni dettagli sono un po’ sottotono: la risoluzione dello schermo a centro plancia non permette di visualizzare le scritte con quella perfezione che ci si aspetterebbe dai quattro anelli e, per di più, l’apertura e la chiusura del display sono da eseguire rigorosamente a mano. Ma non sono certo queste bazzecole a dare il senso della macchina, quindi veniamo al sodo.
Prestazioni. Alla fin fine queste sono le tipiche minuzie alle quali pensi mentre la usi in città, quando ti accorgi pure che l’assetto è rigido... Cosa ovvia viste le prestazioni, anzi, non ci sarebbe da scandalizzarsi neppure se fosse ancor meno morbida. Il suo 2.0 litri spinge davvero forte: parte corposo già in basso e spinge alla grande fin verso i 6.500. Il limitatore sarebbe a quota 6.800, ma è inutile arrivare dalle sue parti. Molto meglio cambiare prima, con quel bel manuale preciso e piacevole da manovrare. Al di là delle prestazioni nel loro complesso l'Audi S1 è un po’ diversa dagli standard tipici di Ingolstadt: ha una gran personalità e, per certi versi, ricorda addirittura una Subaru di quelle cattive. Senza scomodare la WRX STi, la trazione integrale e il sibilo del turbo ti calano un po’ in quel modo di guidare. Vagamente e gradevolmente old style, in un certo senso, con un corpo vettura che pare persino più piccolo dei suoi quattro metri scarsi, tanto te lo senti bene addosso.
Non bisogna lasciarsi prendere la mano. La trazione integrale la rende facile e intuitiva, ma non bisogna approfittare di questa sua magnanimità: quando si comincia a fare sul serio, la S1 muove il retrotreno con una certa facilità, una caratteristica che, se sai tenere in mano il volante, regala una grande capacità di cambiare direzione. Ma non c’è da preoccuparsi, in fondo, perché il controllo elettronico della stabilità, all’occorrenza, è lì apposta per rendere la S1 a prova di guidatore qualunque. In ogni caso, la S1 regala quella maneggevolezza che, su una strada ricca di curve, ti fa stare davanti a tutti. Difficile, semmai, tenerli d’occhio quelli dietro: lo specchio retrovisore interno è piuttosto piccolo e consultarlo dà un po’ l’impressone di guardare nel buco della serratura.
In sintesi. Così piccola, una S, non s’era mai vista. Ma ci sta, eccome se ci sta. In fondo non si vede perché lasciare il campo totalmente libero alla Mini John Cooper Works. Saranno diverse, e lo sono davvero, ma il desiderio di mettersi al volante di un’automobile piccola, ma di gran pregio, è esattamente lo stesso.Qui non c’è una linea altrettanto simpatica ed evocativa, magari, ma si è ripagati da una quantità di cavalli ancora maggiore e dalla presenza della trazione integrale.
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