Non dovevi farcelo, questo scherzo, Niki. Non dovevi illuderci che tutto andava bene, che la paura era superata, che il trapianto di polmone che ci aveva fatto tenere il fiato sospeso era un brutto ricordo ormai archiviato, che presto ti avremmo rivisto ai box della Mercedes con Toto Wolff, a dargli una mano nel gestire quella che potrebbe essere un bella rogna del Mondiale di quest’anno, la rivalità interna tra Hamilton e Bottas, così come avevi fatto, in passato, con quella tra Lewis e Nico Rosberg. E, invece, questa mattina, è bastato aprire un Twitter impazzito per scoprire che ci avevi beffato, col tuo sorriso sornione di sempre. Per comprendere come il silenzio delle ultime settimane sulle tue condizioni non andasse letto come una giusta coperta di privacy per permettere un tranquillo recupero, ma che qualcosa stava andando storto. Nonostante la tua tenacia, le tue sette vite feline, la tua forza di recuperare, sempre e comunque. La Formula 1, ora, come tutti noi che l’amiamo da sempre, dovrà fare a meno di te. E sarà un po’ più povera.
Quella mattina. Adesso, ovviamente, viene il tempo dei ricordi. Della carriera del campione, dei tre titoli mondiali, due dei quali forse tra i più gloriosi della Ferrari, perché arrivati dopo un lungo digiuno. Qualcosa che sembra far parte del Dna di Maranello: una serie di trionfi, poi l’incapacità di ripeterli finché non arriva un principe azzurro, pardon rosso, a sistemare le cose. Tu, Niki, l’avevi fatto nel ’75, quando il Drake non portava a casa un Mondiale dal ’64, quando l’aveva agguantato John Surtees, il figlio del vento. Poi ci avrebbe pensato un altro grande dal tragico destino, Schumacher, a rinverdire nel 2000 gli allori sbiaditi dall’epoca di Scheckter, anno di grazia 1979. C’ero, dietro la rete della Parabolica di Monza, quella domenica del ’75 quando con la 312 T arrivasti terzo, alle spalle di Clay ed Emerson Fittipaldi, un piazzamento sufficiente a regalarti il primo alloro iridato. C’ero, naturalmente, davanti al televisore, per me ancora in bianco e nero, quella mattina del ’76, quando sul circuito del Fuji mostrasti al mondo che anche un cavaliere del rischio, come avevamo imparato a chiamare voi piloti dalle colonne del più autorevole settimanale di corse, poteva avere paura. Della pioggia, della morte, del destino. C’ero, come tanti di voi che state leggendo queste righe e non potrete dimenticare mai quei momenti. Anche se dopo, come purtroppo troppo spesso accade in Italia, per tanti Niki sarebbe diventato il nemico, l’odiato rivale della Ferrari, da battere come pilota della McLaren (con la quale avrebbe di nuovo trionfato nell’84, dopo il titolo bis con la Rossa del ’77) o da temere come eminenza grigia della grigia e vincente Mercedes del nuovo millennio. Un altro destino che ti accomuna a Michael, quello del capovolgimento del posto nei cuori della tifoseria ferrarista, capace d’irridere i propri idoli una volta diventati “traditori”.
Un vuoto. Adesso, non resta che vivere il momento del ricordo. Ripercorrere i trionfi e le sconfitte, epiche e mai banali, rivedere con le gallery fotografiche e i video d’epoca la tua vita da film, che un bel film, in effetti, ha ispirato. Ci mancherai, Niki. Con i tuoi scherzi, la tua insolita franchezza, il tuo buffo italiano, le parolacce nostrane che ogni tanto infilavi nei discorsi per chiarire bene i concetti, perché non ci fossero dubbi. Ci mancherai come una piccola parte delle nostre vite che all’improvviso, al risveglio, è diventato un pezzo della nostra storia e non può più far parte della quotidianità.
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