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Le grandi interviste
Schumi, spiegaci che cos’è il coraggio

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Il 10 luglio del 2003, Michael Schumacher stava provando la sua Ferrari F2003GA, dedicata alla memoria di Gianni Agnelli, al Mugello. A quell’epoca, le sessioni private di test non erano ancora state vietate, quindi Maranello faceva grande uso dell’impegnativa pista toscana. L’appuntamento per l’intervista era per l’ora di pranzo, ma un inopinato testacoda, all’ultima curva che immette sul rettilineo dei box, mise anticipatamente fine alla sessione mattutina di test. E Schumi ne approfittò per anticipare l’incontro previsto con Quattroruote, infilandosi in un angolo del garage, mentre i meccanici sistemavano i (pochi) danni recati alla monoposto. Vi riproponiamo qui, per la nostra rassegna Le grandi interviste, il testo integrale di quella conversazione, apparsa per la prima volta sul numero di agosto del 2003 di Quattroruote, in cui parla anche del coraggio che ci vuole per correre in F.1. Lo stesso - ne siamo certi - di cui sta dando prova ora, nella gara più difficile della sua vita. La testimonianza di un grande campione, al quale, ancora una volta, va il nostro affettuoso pensiero.



Michael l’uomo di ghiaccio. Michael l’uomo capace di stare immobile nell’abitacolo della sua Ferrari che sta prendendo fuoco ai box, aspettando che tutto si risolva per tornare in pista e vincere, come ha fatto in Austria. Michael che si tocca con il rivale Montoya, esce di pista, mantiene la calma, fa segno ai commissari di aiutarlo, ritorna a correre e porta a casa un piazzamento prezioso per il campionato, com’è successo in Germania. Michael che, non dimentichiamolo, nel 1999 si frattura una gamba in una pista tosta come Silverstone e, dopo un po’, torna a correre, come se niente fosse. Con queste premesse, chi meglio di lui potrebbe spiegarci quanto coraggio ci vuole per infilarsi nel seggiolino di una Formula 1 e proiettarsi verso la prima curva, insieme con altri 19 assatanati? Ma lui, il tedesco che ha vinto come nessuno mai, minimizza. State a sentire che cosa dice.

Qualcuno sostiene, un po’ provocatoriamente, che oggi ci vuole più coraggio a guidare in autostrada che a mettersi al volante di una Formula 1...
Sì, sono d’accordo. La qualità dei conducenti di F.1 e di quelli che guidano su un’autostrada è molto differente. Ultimamente la sicurezza della F.1 è aumentata moltissimo. Un pilota che porta la propria macchina al limite non è coraggioso, perché conosce questo limite. Quando percorri una curva alla massima velocità, ma rimani nei limiti della macchina, non ti serve coraggio. È quando vai oltre questo limite, che ti aspetti di uscire di pista. Le cose sono cambiate parecchio in F.1: adesso i piloti sono molto concentrati, le corse sono diventate più professionali. Una volta ti dicevano soltanto di buttarti dentro e di dare il massimo.

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Che cosa pensava durante l’incendio della sua Ferrari in Austria? Restare così calmi è una questione di allenamento?
No, è una questione sicuramente di carattere. Qualcuno si preoccupa più di altri...

Venti, trent’anni fa i piloti correvano con le auto più diverse; Mario Andretti, per esempio, ha guidato a Indianapolis, a Le Mans, nei Gran Premi. Oggi voi piloti di Formula 1 fate soltanto questo. Non vi mancano le altre categorie?
Il programma è così intenso, con 16-17 Gran Premi l’anno e i test la settimana successiva la gara, che non saprei come si potrebbe disputarli in maniera professionale dedicandosi anche ad altro. Per guidare una F.1 devi essere concentrato al 100%; quindi, il tempo che ti rimane ti serve soltanto per ricaricarti le batterie e rilassarti. Privatamente, l’unica cosa che riesco a fare per divertimento è un po’ di karting, fuori stagione. Partecipo magari a una gara, a un singolo evento.

Le piacerebbe guidare qualche altra vettura, magari a Indianapolis?
Ovviamente no. Perché io guido già la macchina più veloce e sofisticata che ci sia. Quindi, per un pilota di F.1 non ci sono altre sfide. Se sei un pilota che non ha ancora raggiunto la massima categoria, allora può essere interessate farlo, ma la F.1 è la migliore del mondo. Non ha senso guidare qualcosa che è meno veloce, meno divertente e più pericoloso.

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Quali differenze ci sono tra la prima «F.1» che ha guidato, dodici anni fa, e quelle di oggi, dotate di tanta elettronica?
Oggi una Formula 1 è molto più semplice da guidare. È molto facile arrivare al 90% del suo potenziale; il 10% di differenza dipende dal pilota. La prima volta che ho guidato una F.1 è stato un choc, perché non c’era modo di controllare il pattinamento delle ruote, gestire l’aerodinamica, dominare la potenza... All’inizio è stato molto impressionante; adesso per un giovane pilota è più facile incominciare.

L’auto peggiore che ha mai guidato?
Mi lasci pensare... Direi la Benetton del 1995 e la Ferrari del 1996.

Che tipo di problemi avevano?
La Benetton, problemi di aerodinamica e di stabilità. La Ferrari del ’96 semplicemente non era competitiva.

Ha mai pensato: «Questa macchina non va bene per me, non dovrei guidarla»?
È proprio quello che pensavo guidando la Benetton del ’95. Non mi sbagliavo.

Che cosa pensa quando guida la sua Ferrari e vede spazi vuoti sulle tribune? La Formula 1 sembra un po’ in crisi, soprattutto per il numero calante di spettatori.
Non sempre le tribune sono vuote... Però, sì, c’è meno gente ai Gran Premi. In ogni settore che abbia a che fare con l’economia, i prezzi stanno salendo sempre di più. Ci sono diversi problemi finanziari su molti mercati europei. Questa situazione di crisi si riflette sul portafogli della gente, che in molti casi non può permettersi biglietti troppo cari.

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È l’economia mondiale che sta rallentando o è la «Formula 1» che sta diventando troppo costosa?
Il problema non è che la F.1 sia cara. Il fatto che per le squadre richieda grossi budget non interessa alle persone che stanno sulle tribune. Però i prezzi dei biglietti ogni anno salgono un po’, mentre il reddito della gente non cresce.

Qual è stata la prima auto che ha sognato di avere?
Non ho mai avuto molti sogni. Il mio portafogli era vuoto, così come quello dei miei genitori. Avevamo una Golf turbodiesel, ero felice con quella. Il mio sogno si è realizzato con la 550 Maranello, che è il massimo cui si può aspirare. Ora è la 575, che amo molto.

Quando è venuto in Italia, come si è trovato? Ha incontrato gente professionale?
Sì, certo. Sarebbe stato strano il contrario.

Che cosa pensava degli italiani prima di venire a Maranello?
Sono venuto con la mente aperta, senza pregiudizi. Abbiamo cercato tutti di dare il meglio. Penso che in ogni cultura ci siano pregi e difetti. Ma ho apprezzato molto la professionalità di ingegneri e meccanici italiani.

Pensa che italiani e tedeschi siano cambiati in questi anni, con l’arrivo dell’euro, la globalizzazione?
Nel mio ambiente, che è molto internazionale, è sempre stato così.

Qualcuno dice che la Formula 1 sia noiosa, che non si vedono più sorpassi, che le gare non sono emozionanti.
A giudicare da quanti spettatori abbiamo in tutto il mondo, non si direbbe.

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Ci sono stati piloti che ha incontrato nella sua carriera e che, secondo lei, non hanno avuto la fortuna che meritavano?
Un pilota bravo è Vincenzo Sospiri; con i kart era fantastico, poi non è riuscito a emergere.  Ma Vincenzo era proprio uno tosto.

Quando lo ha conosciuto?
Tanto tempo fa. Correvamo in kart insieme, poi in Formula Ford 1600, forse anche in Formula 3. Era un po’ più vecchio di me.

Che cosa ci vuole per diventare un campione? Perché lei sì e lui no?
Certe cose non si spiegano, sono così e basta.

Che cosa farà quando avrà smesso di correre, dopo il 2006?
E lei, lo sa che cosa farà dopo il 2006? Come si fa a prevederlo?

Credo che farò ancora il giornalista. E lei, continuerà a lavorare per la Ferrari?
Not me, non io...

Sembra che il suo senso della famiglia sia molto spiccato. Com’è battagliare in gara con suo fratello?
È un avversario, ma ci divertiamo a gareggiare. È bello quando si raggiungono certi livelli, quando il ritmo della gara è elevato. Ma resta sempre mio fratello.

Quale giovane pilota pensa sia il più promettente per il futuro? Webber, Alonso, Raikkonen?
Webber non è più molto giovane, ma è in gamba. Come Alonso e Raikkonen.

Permetteteci, in questa occasione, una postilla. Fin qui, l’intervista pubblicata all’epoca in cui venne effettuata, in versione integrale come tutte quelle che vi stiamo riproponendo. A distanza di tanti anni, oggi sappiamo che cosa ha fatto Michael dopo il 2006: ha lavorato ancora per la Ferrari, contrariamente alle sue intenzioni, ha corso un po’ in moto, poi non ha resistito al fascino della F.1 ed è tornato ai Gran Premi con la Mercedes, diventando un “nemico” dei ferraristi. Che, però, oggi più che mai gli sono vicini col cuore.

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