Sakhir, ultimo atto. Sipario che si apre su otto ore di luci artificiali e sabbia sospesa. Non è solo una gara: è una scena finale, con un personaggio che saluta e un altro che difende la propria parte da protagonista. Porsche, qui per l’ultima volta nel WEC in veste ufficiale, entra sapendo che questo palcoscenico non lo rivedrà più. Annuncio noto da tempo, decisione metabolizzata. E proprio per questo — forse — l’idea è una: lasciare una traccia, non un addio. Un’impronta, non un inchino.
Tensione a Maranello
Ferrari, invece, arriva con passo sicuro, voce bassa e quella calma che appartiene a chi ha recitato bene per lunghi tratti. Prima parte di stagione lucida, impeccabile; poi qualche sfumatura meno brillante, mai per veri demeriti interni ma per quelle correnti sottili che attraversano i campionati veri. La sostanza non si è mossa: squadra solida, idee chiare, precisione nei momenti da stringere. Pier Guidi-Calado-Giovinazzi davanti nella classifica equipaggi. Nessuno lo dice, nessuno lo mostra. Si lavora, si osserva, ci si muove quasi silenti nonostante ci si trovi al centro della scena. Nel paddock c’è concentrazione, non frenesia. I “cornetti” da Napoli sono già stati consegnati: sorriso rapido, rito discreto.
Le cifre in gara
Poi i numeri, che qui valgono quasi quanto l’intuizione.
- Porsche 963: –9 kW sotto i 250 km/h (481 totali), energia per stint a 901 MJ (–3 MJ) e peso importante
- Ferrari 499P: +3 kW (483), 893 MJ invariati, qualche chilo in meno rispetto al Fuji
Toyota con finiture sottili, Cadillac più pesante e meno pronta, Alpine e Peugeot chiamate più a cogliere che a comandare.
Il test della Hyperpole
E prima ancora della lunga notte, c’è un primo banco di prova: la Hyperpole. Un punto in palio, certo, ma soprattutto un segnale. Pochi minuti per capire chi è già dentro la gara e chi sta ancora cercando la chiave giusta. A Sakhir la qualifica non è mai solo velocità: è temperatura, luce che cambia, tensione che si taglia. E se qualcuno vuole nascondere qualcosa — o mostrarla — è lì che lo farà.
Gli attori in scena
Sulla carta è una questione a due. Rosso contro argento. Due interpretazioni opposte della stessa scena: chi vuole chiudere un ciclo senza lasciare vuoti e chi vuole difendere il proprio ruolo con sobrietà feroce. Dopo il tramonto cambia tutto: temperatura, fondi, traiettorie, ritmo. Le GT diventano incastri, i doppiaggi spartiti ritmici, la gara un pezzo costruito a strati. Non si impone: si accompagna.
Ferrari cammina bassa. Porsche porta un’intensità diversa: chi lascia un palcoscenico così, se può, vuole farlo con una nota piena. Sperando solo — da parte nostra — che nell’orgoglio non si nasconda un colpo di scena indigesto. Dietro, Toyota resta quella presenza discreta che non devi mai dare per scomparsa. Cadillac dovrà immaginare una serata oltre i numeri. Peugeot e Alpine studieranno le crepe, aspettando il momento in cui la notte offre un varco.
Uno spettacolo lungo otto ore
Ritmo, misura, freddezza. Il Bahrain non si conquista: si interpreta. La pista parlerà e solo allora si potrà respirare. Per ora si resta bassi, quasi invisibili, passo giusto. Qui non si annuncia nulla. Si esegue. Si porta in fondo. Poi si guarda il tabellone e, se tutto avrà avuto senso, arriverà quel sorriso trattenuto da troppo tempo. Composto. Come quando non si vuole disturbare la fortuna. Adesso basta parole: si va in scena.
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