È bastata una decina di giorni di pioggia per trasformare quasi ogni metropoli italiana in un “gruviera”: buche larghe e profonde costellano le vie delle città, con ripercussioni negative sulla sicurezza stradale. Chi guida l’auto, ma anche chi si muove in moto, bici o monopattino elettrico, effettua slalom pericolosi tentando di evitare le voragini. Guai perfino per i pedoni, alle prese con attraversamenti devastati dai crateri. Fioccano le richieste di risarcimento ai Comuni da parte degli utenti che, sprofondati nei crepacci, ne sono usciti coi veicoli danneggiati (gomme, sospensioni, parti di carrozzeria e altro sono messi a dura prova). Un effetto domino con conseguenze negative anche su traffico e inquinamento. Perché le strade sono conciate così? Abbiamo approfondito il tema con Alessandro Pesaresi, presidente del Siteb, l’associazione italiana strade italiane e bitumi, che raggruppa 200 aziende operanti nel settore: dai materiali ai cantieri, passando per i macchinari e i controlli, fino ai servizi per la mobilità.
Strade urbane con un “paesaggio lunare”: come si è arrivati a questo punto?
Premesso che il traffico veicolare è in aumento, pesano numerosi fattori. L’elemento numero uno è che la maggior parte dei Comuni non ha una programmazione a lungo termine per la manutenzione stradale. Manca una pianificazione dei lavori, con un responsabile degli stessi che li guidi dall’inizio alla fine. La “torta” della strada (chiamata così perché è multistrato, come una millefoglie, ndr) va ideata e costruita con la massima attenzione. Lo strato superficiale, quello calpestato dai veicoli, dev’essere il tappetino d’usura alto fra i tre e i cinque centimetri: conglomerato bituminoso, un insieme di materiale roccioso e bitume, residuo ottenuto dalla lavorazione del petrolio. Quindi, c’è il binder, la base, la fondazione e infine il sottofondo, fra i 10 e i 15 cm di altezza. Una “torta” valida assorbe e dissipa i carichi, senza fessurarsi. Viceversa, quasi tutte le amministrazioni rattoppano i crateri in maniera inefficace utilizzando un asfalto inadatto, fragile, cosiddetto “freddo”. Il risultato è che alle prime piogge si crea una “ragnatela”, ossia un ammaloramento con setolature. E quindi buche ancora più profonde, perché l’acqua penetra facilmente in profondità squassando quello che trova. Il rammendo superficiale dura qualche giorno, per poi essere distrutto. Bisogna prevenire a tavolino, non curare in eterna emergenza.

Oltre a una politica preventiva, le amministrazioni come dovrebbero attivarsi?
Urge un monitoraggio costante dei sottoservizi, ossia dei lavori per telefonia, luce, gas e altri: terminate le operazioni, il ripristino della trincea fa emergere materiali di qualità inferiore a quelli originari. Così le spaccature, spesso longitudinali alla strada, diventano probabili. Altro elemento: bisogna mettere sotto osservazione le zone nei pressi di pozzetti, chiusini, caditoie, fatti di cemento, acciaio e ghisa. Vengono sistemati male dopo la posa dell’asfalto, spesso parzialmente coperti. Siccome hanno una dilatazione termica diversa dal bitume, il disastro è alle porte, con l’acqua piovana che trova subito la via per causare danni. Terzo fattore determinante: una strada dovrebbe restare chiusa per una giornata intera affinché i lavori di rifacimento siano eseguiti a regola d’arte. Il tempo perché l’ossidazione dell’asfalto si completi. Se invece il cantiere vive solo un’ora, come accade oggi, il rischio è che il bitume non sia pronto per sopportare il traffico.
Spesso i comuni dicono: non ci sono risorse per ammodernare le strade. Ma è un’obiezione legittima?
No. Se si considera la spesa per rifare di continuo le strade, i costi dei contenziosi con gli automobilisti danneggiati, e gli esborsi per i risarcimenti, i Comuni risparmierebbero sul lungo periodo. Con effetti positivi anche su viabilità e aria. E con un miglioramento dell’immagine a livello internazionale, per attrarre più turisti. Inoltre, nelle città spuntano come funghi corsie ciclabili di dubbia efficacia, per legge calpestabili da qualsiasi veicolo, betoniere incluse. Bike lane discutibili sia sotto il profilo della scorrevolezza del traffico sia dal punto di vista della sicurezza stradale. Pianificare di più per spendere meno, ecco la ricetta giusta.

Esiste un ente terzo che controlla la qualità dell’asfalto in città?
No. Dopo l’appalto, il Comune controlla il lavoro dell’azienda. I soggetti in gioco sono solo due. Manca un ente terzo certificatore che verifichi la qualità delle strade e prenda eventuali provvedimenti, sanzioni economiche incluse. Più in generale, c’è la tendenza all’assuefazione: si è abituati a muoversi su strade piene di buche. Una mentalità perdente.
Enti locali a parte, il legislatore cosa potrebbe fare?
Sarebbe utile una nuova legge che consenta di utilizzare di più l’asfalto riciclato. Oggi, siamo fermi al 30% del totale di asfalto su una strada: pochissimo. Il 70% costituirebbe la percentuale adatta. In un’ottica di miglioramento della sicurezza stradale.
Fuori dall’Italia, in varie metropoli europee, le strade sono in condizioni migliori rispetto a quelle delle nostre città: perché?
Perché altrove esiste un approccio più serio al problema. Infatti, anche Parigi, Vienna, Londra, Monaco di Baviera fanno i conti con condizioni meteo sfavorevoli e traffico: non partono certo avvantaggiate rispetto a Milano e Roma.
COMMENTI([NUM]) NESSUN COMMENTO
Per eventuali chiarimenti la preghiamo di contattarci all'indirizzo web@edidomus.it