La Maserati MC20 non si lascia trascinare dalla corrente della tradizione più recente e, anzi, la risale di molti decenni, fino a riallacciarsi alla Tipo 63 Bird-cage del 1961 o alla Bora del 1971. Non ha il cofano lungo, non ha il motore davanti, non ha quattro porte, eppure appartiene pienamente alla tradizione del marcio, casomai con il compito di ridefinire confini e portata del Tridente. Un marchio che, da un lato, negli ultimi anni ha dimostrato di saper vendere le automobili, dall'altro può ripensare i suoi spazi dopo il cambio azionario che l'ha portato lontano dalla Ferrari, cosa che gli permette di entrare in un terreno finora considerato feudo intoccabile del Cavallino rampante. La MC20 non propone alcuna forma di ibrido, ma non esclude prossimamente una versione totalmente elettrica. Fin dall'inizio, infatti, la vasca di carbonio progettata dai maghi della Dallara, e cuore del telaio della vettura, è stata pensata per accogliere al meglio anche batterie e motori elettrici. Purezza dei volumi e delle linee di base si uniscono a elementi come la grande bocca anteriore o il lunotto di Lexan che, con gli sfoghi per l'aria, disegna un tridente. Non ultimo, le porte incernierate sui montanti aggiungono carattere da supercar. Per aprirle del tutto serve un agio in larghezza che non è sempre semplice da trovare, però, una volta estese, aiutano l'accessibilità, perché il brancardo diventa così sottile che quasi non esiste. Il posto guida è ispirato a un minimalismo elegantemente corsaiolo. Tra i comandi, la strumentazione da 10,25 pollici prevede diversi layout e le due zone gregarie si settano comodamente con i pulsanti sulla testa delle due levette sul piantone. A proposito di tasti e comandi reali, quello del freno di stazionamento e il tasto dell'hazard costringono a una piccola caccia al tesoro: il primo è nascosto in basso a sinistra sulla plancia, il secondo è sulla plafoniera. A impreziosire gli interni dal punto di vista elettronico s'impegna anche il retrovisore digitale.
Come va. Si può scegliere tra cinque setup e, nel caso dei più gagliardi, di accoppiarli alla taratura Soft dell'assetto tramite il pulsante centrale. Si parte in GT, con il cambio che passa velocemente alla marcia superiore e scala soltanto quando proprio glielo chiedi, i turbo che danno il giusto corpo, un assetto capace di fare i conti con la realtà e il V6 che si fa sentire davvero soltanto dai 5.000 giri in su, quando si apre il bypass della seconda linea di scarico. Il tutto accompagnato da quella deliziosa crudezza fatta di micro vibrazioni dovute alla scocca di carbonio, dettaglio che ti cala subito in un'impagabile atmosfera da supercar e ti porta immediatamente a esplorare gli step successivi. Tra Sport e Corsa, il boost dei turbo si fa più evidente e si unisce, acusticamente, al rumore di aspirazione. I 600 e passa cavalli sono capaci di forza e determinazione, oltre che molto ben spalmati lungo l'intero arco dei giri. Si sale a quota 8.000 con leggerezza e naturalezza, senza sforzo. E lì entra in scena il cambio, l’otto marce della Tremec, veloce nel concedere le marce, piuttosto puntuale nelle scalate. Lo sterzo, super preciso, ha una prontezza fuori del comune. Peccato semmai per lo scarso mordente a bassa velocità dei freni carboceramici, che costringono spesso ad aumentare il carico sul pedale, dalla corsa molto corta, come sempre su auto di questo calibro.
Pregi. La sincerità e l'efficacia dell'handling si fondono alla perfezione con le pure prestazioni. E, insieme, formano un tutt'uno di notevolissimo livello.
Difetti. Nulla da dire sulla forza dell'impianto, ma i freni hanno bisogno di un pedale più modulabile. Il V6 meriterebbe una voce stentorea.