Alla Nissan non ne fanno mistero: c’è stato un momento in cui la Micra sembrava un capitolo chiuso, con oltre 40 anni di storia e cinque generazioni pronti a finire in soffitta a prendere polvere come un vecchio faldone. Col rischio di veder sbiadire, nel tempo, le diapositive di quella giapponesina che, senza timori, osava sfidare le più affermate compatte tedesche, francesi, italiane o americane. Accedeva già negli anni 80, ma per vedere l’auto nei nostri listini abbiamo dovuto attendere qualche anno, familiarizzando perlopiù con la seconda serie: un vero fenomeno. E potremmo scommettere che, con quel suo fisichino tondeggiante e l’aria paciosa, la K11 avrà strappato un sorriso di simpatia a più d'uno di voi.
Il retroscena. La storia non avrebbe avuto un sequel se, come nelle favole, non fosse apparso, con tempismo drammaturgico, un cavaliere che salva la protagonista. Il principe azzurro della Micra risponde al nome di Luca de Meo, presidente e amministratore delegato della Renault. Bozzetti in mano, il manager milanese ha incontrato il board dell’alleato (com’è noto, dal 1999 Renault e Nissan fanno parte di un sodalizio industriale, successivamente aperto anche alla Mitsubishi) sottoponendogli una proposta che non si poteva rifiutare: "Perché non fate una compatta elettrica sulla piattaforma della nostra nuova R5? Prodotta e ingegnerizzata in Francia?". La Nissan avrebbe così potuto contare su un modello dal design fresco, tecnologicamente orientato al futuro, potenzialmente competitivo sia per appeal che per costi di fabbricazione, praticamente "chiavi in mano". Senza impegnarsi in prima persona nello sviluppo tecnico. Affare fatto, dunque, ma solo perché - come sottolineano a Yokohama - in questo caso, ci guadagnano tutti. Gli sketch, così come i contorni tecnici e industriali del progetto, hanno convinto i vertici della Casa, ormai sul punto di cancellare dai piani prodotto una segmento B destinata all’Europa. Badate bene, non stiamo romanzando: più o meno in questi termini, l'ex direttore esecutivo della Nissan, Ashwani Gupta, ha confessato l’aneddoto durante una conferenza stampa lo scorso febbraio, sottilineando come "ogni progetto dell’Alleanza deve generare performance per ciascun membro" e che "le sinergie (industriali, ndr) non sono l’obiettivo, ma la conseguenza".

Geni francesi. Insomma, la nuova Micra sarà un’opera a quattro mani. La Renault si prenderà in carico la parte industriale, costruendo la compatta dell’alleato nel nuovo polo ElectriCity, a Douai, nel nord della Francia. La produzione avverrà su linee condivise con la nuova R5 elettrica e con la sua omologa Alpine, la A290, a partire però dal 2026, cioè due anni dopo il via all’assemblaggio delle francesi. Parenti strette, anzi strettissime, la futura R5 e la segmento B di Nissan. Non solo per l’ossatura comune (il pianale Cmf-Bev ), che abbiamo già avuto modo di assaggiare su strada raccogliendo impressioni molto positive. Come annunciato da De Meo, le due vetture saranno fatte per l’80% di parti condivise: un dato che la dice lunga sull’opportunità di ammortizzare i costi da parte dei costruttori. Guai, però, a immaginare un progetto tecnicamente povero. Partendo sempre dall’assunto che francesi e giapponesi avranno sostanzialmente lo stesso "hardware", nel cofano anteriore di questa Bev dovremmo trovare un motore sincrono a rotore avvolto mutuato dalla Mégane E-Tech Electric e realizzato senza impiego di terre rare, con potenze che ipotizziamo fino a circa 140 CV. Salvo sorprese, sarà l’unica unità di trazione: varianti bimotore paiono escluse, almeno inizialmente. Si ragiona, casomai, sull’opportunità di offrire più di una scelta quanto a batterie, oscillando tra un taglio prettamente urbano e uno a più ampio raggio, intorno ai 60 kWh, per un’autonomia fino a circa 400 km. Guidando la piattaforma modulare della R5 abbiamo poi potuto apprezzarne il retrotreno con schema multilink: un plus tecnico raro per una segmento B, di cui potrebbe fregiarsi anche la cugina nipponica. A meno che non si decida di optare per una soluzione più economica al fine di contenere i costi e, quindi, il prezzo finale. All’estremo opposto, qualora invece i giapponesi puntassero in alto, si potrebbe perfino immaginare uno sviluppo in chiave Nismo (se esiste una Alpine, perché no?), che comunque verrebbe decretato solo dopo il lancio del modello standard.

Comunque giapponese. Pur delegando la produzione, sarà la Nissan a definire l’identità della sua nuova compatta, a partire dallo stile, che in parte è già stato anticipato. Un paio di "figurine" diffuse dal costruttore, insieme col resto delle informazioni raccolte finora, ci hanno infatti indirizzato nel ricostruire l’aspetto della vettura, che nell’impostazione generale ricorda un po’ la riedizione moderna della Mini: sbalzi cortissimi, le ruote spinte ai quattro angoli, montanti A e C piuttosto inclinati, finestratura dal taglio sportiveggiante e un tetto che s’affaccia sul lunotto, chiudendo con un immancabile spoilerino. Vista di profilo, la Micra somiglia mostra lo stesso slancio della cugina francese, la prossima R5. Vis-à-vis e nei dettagli, invece, sfodera tutta la sua personalità. Puntando su superfici a tratti un po’ più tondeggianti e su grafiche luminose dalle forme, rispetto alla R5, completamente diverse. Certo, quei fari a Led circolari oggigiorno sono stati ampiamente sdoganati anche altrove (vedi Fiat 500 elettrica e, di nuovo, la Mini), ma appartengono al Dna della giapponesina da tempi non sospetti: quelli della Micra terza serie dei primi anni Duemila, inconfondibile sia per la postura da ranocchio sia, appunto, per i suoi occhioni dolci.
Si valuta un cambio di nome. E proprio le suggestioni determinano un’altra questione importante, ancora aperta: quella del nome. Finora, infatti, la Nissan ha parlato solo di "futura compatta elettrica" o, al più, di erede della Micra. E sull’opportunità di recuperare tale denominazione (e con essa il patrimonio condiviso che si porta dietro) pare siano ancora in corso le valutazioni del caso. C’è da dire che il passato della Nissan Micra racconta due storie ben distinte. Una di successo, legata prevalentemente alla seconda e terza serie, entrambe prodotte a Sunderland, nel Regno Unito. L’altra, meno florida, scritta dalle ultime due generazioni, lanciate nel pieno dell’era Ghosn: la serie K12, una world car assemblata a varie latitudini (ma non in Europa) e proposta solo a benzina, e il modello attuale (K13): un progetto nuovamente eurocentrico - con produzione localizzata a Flins, in Francia, negli stabilimenti Renault - che ha un po’ stravolto i connotati tipici dell’utilitaria nipponica, trasformandola in un’auto più grande, dalle linee aggressive e, rispetto a prima, più ammiccante alla clientela maschile. La curva delle vendite (fonte Carsalesbase) parla chiaro: tra la fine degli anni 90 e il 2006 (cioè dal pieno della seconda serie fino a metà carriera della terza), la Micra ha viaggiato stabilmente sopra le 100 mila consegne annue in Europa, con annate abbondantemente oltre quota 150 mila. Dal 2007 in poi, invece, le immatricolazioni nel Vecchio continente non hanno più generato dati a sei cifre e nel 2022, per stare sulla stretta attualità, si sono fermate a poco più di 30 mila esemplari. Dunque, che fare adesso? Voltare pagina o rievocare i fasti? Un dilemma che verrà sciolto a breve.
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