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Puma
Dune buggy, ma non solo - GALLERY

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In una delle più celebri pellicole con il mitico Bud Spencer -  “Altrimenti ci arrabbiamo!” del 1974 - l’attore napoletano, scomparso il 27 giugno, e l’inseparabile Terence Hill si contendono lo stesso premio in una gara di motocross. Non è un premio qualsiasi: è una dune buggy, veicolo adatto a spostarsi sulla sabbia. Per la precisione, è una Gatto Spider, il modello più noto della Puma, Casa automobilistica romana specializzata in kit car, veicoli venduti in scatola di montaggio. Come tutte le dune buggy, la cui produzione affiorò un po’ in tutto il mondo tra gli Anni 60 e 70, la "spiaggina" del cinema venne concepita utilizzando il pianale del vecchio VW Maggiolino. L’intuizione di produrre questo genere di vetture e di affidarsi al cinema per la promozione delle stesse (la presenza di veicoli Puma nelle pellicole italiane sarà una costante in tutta la vita dell’azienda) è dell’imprenditore Adriano Gatto, ex pilota di autocross.

Spiaggina mon amour. A dire il vero, furono diversi i produttori di queste spiaggine nella nostra penisola, dalla bolognese Autozodiaco che per la produzione si avvalse in un primo momento delle officine Giannini di Roma, alla ATL di Mandello del Lario, passando per la Momo Helvetia di Rozzano, nei pressi della redazione di Quattroruote. Ma tra tutte le spiaggine italiche, la Gatto Spider ha rappresentato la definitiva consacrazione del mito dune buggy nel nostro Paese. Per la Puma, fu solo il primo di una serie di modelli tutti con carrozzeria di vetroresina e pianale del VW Maggiolino. Se alla spiaggina seguirono le evoluzioni Puma e Puma GT, alle dune buggy si affiancarono una serie di modelli dal design estremo, da vera supercar, e prezzi accessibili, venduti in scatola di montaggio o preassemblati, secondo le esigenze del cliente: la Puma GTV (1979), dal caratteristico padiglione incernierato alla base del vetro che, sollevandosi e ruotando, consentiva l’accesso all’abitacolo e le sue evoluzioni GTV-033 (1984) e GTV-033s (1985); la Boxer 90 (1991), dalle caratteristiche portiere ad ali di gabbiano, ispirate alla Mercedes SL.

Off-road in kit. Faceva parte della gamma Puma persino una piccola fuoristrada, la Ranch, nelle forme ispirata alla più famosa Jeep Wrangler. Era dotata di un pianale tubolare appositamente ideato dalla Puma (caso unico per l’azienda romana, che ha sempre fatto largo uso del pianale Maggiolino) e motore posteriore. L’ultimo modello prodotto (un esemplare unico) è stato la Puma 248 (1993), evoluzione della Boxer 90. Il prototipo venne distrutto in un incendio che colpì lo stabilimento romano. Quest’episodio e la burocrazia sempre più restrittiva nei confronti delle kit-car e, in generale, dei piccoli costruttori, segnarono il declino della casa automobilistica che chiuse i battenti nel 1993. Secondo un censimento operato dal Puma Club Italia, sono circa 150 gli esemplari di vetture Puma presenti in Italia. Da non confondere con la Ford Puma, piccola sportiva prodotta a Colonia dal 1997 al 2001 e destinata al mercato europeo. Per chiamarla così la Casa americana ha acquistato il marchio dalla famiglia Gatto.

Alessandro Mirra

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