Dopo piloti, ingegneri e manager del mondo dell'auto, per la rassegna "Le grandi interviste" è arrivato il momento di una rockstar, Nick Mason. Nato a Birmingham nel 1944, vent’anni dopo, assieme a Roger Waters, Bob Klose e Richard Wright, fonda i Sigma 6, che diverranno i Pink Floyd l’anno successivo: lui è il batterista e il gruppo arriverà a vendere 200 milioni di album in tutto il mondo. Laureato in architettura, Mason è uno dei maggiori collezionisti di auto storiche del Regno Unito, con una speciale predilezione per le Ferrari. L’intervista è stata realizzata a Londra da Nereo Balanzin ed è apparsa per la prima volta sul volume "Quattroruote - profili di eccellenza", pubblicato nel gennaio del 2012.
Nicholas Berkeley Mason (inglese, 68 anni) ha molte identità. È il proprietario di Ten Tenths, società capace di procurare, a chi lo voglia, qualunque mezzo di trasporto. Dal monopattino alla locomotiva, transitando per qualsiasi tipo di automobile. Mister Mason (due matrimoni, quattro figli) è anche un architetto. Con noncuranza sorvola, ma è qualcosa a cui tiene molto. Sempre lui, Nicholas Mason (uffici a Londra, abitazione nella campagna dello Wiltshire) è anche uno scrittore. Uno dei suoi libri, “Into the Red”, è un best seller. Il signor Mason (una fortuna personale che supera i 50 milioni di sterline) è un pilota: “dilettante”, precisa. Ma un dilettante che possiede nel curriculum la 24 Ore di Le Mans. Sempre lui, Nick Mason (una carriera iniziata nel 1964), è il batterista dei Pink Floyd, il gruppo rock che ha scritto pagine tra le più importanti della musica moderna. Per anni, ha scandito il tempo alle chitarre di David Gilmour e Syd Barrett, al basso di Roger Waters, alle tastiere di Richard Wright. Forse qualcuno non ha mai sentito citare The Wall. Ma non su questo pianeta. Da tutta la vita, le giornate di Mason sono dominate da tre diverse passioni: la musica, il volo, le automobili. Le si possono toccare con mano al primo piano di una palazzina in mattoni a Londra, tra Barnsbury e Kings Cross, giusto sopra a un vecchio garage contrassegnato da un’insegna seminascosta che, in modo discreto, sussurra “Ferrari”. Appeso al soffitto, galleggia il modello di un cacciabombardiere Stuka. Giusto sotto, una monoposto di Formula 1. Vera. Di fronte, una batteria completa di ogni elemento e pronta per l’uso. Le bacchette sono appoggiate al rullante. Nick Mason ama le auto di un amore che le abbraccia tutte. Le colleziona (è arrivato a possederne oltre 50) senza metodo, solo sull’onda dell’emozione che gli trasmettono, spaziando da vetture d’epoca vecchie più di cent’anni (e perfettamente efficienti: tutte vive, non monumenti alla memoria) fino ai più raffinati modelli della tecnologia contemporanea. Non è l’unico grande musicista ad aver nutrito una passione intensa per le quattro ruote. George Harrison, chitarrista dei Beatles, frequentava spesso i Gran Premi. Ne faceva però un motivo privato, e non era facile incrociarlo. Apertamente dichiarata era la passione di Herbert Von Karajan, il grande direttore d’orchestra austriaco, che ascoltava il suono del V12 Ferrari come la coralità di una sinfonia. Nick Mason si è spinto ancora più in là, intersecando inestricabilmente le passioni. Seduto accanto a un pupazzo che lo sovrasta (un po’ umano e un po’ alieno, un po’ psychedelic e un po’ progressive), ha raccontato come e perché.
Signor Mason, per noi, no. Per lei, invece, forse è facile trovare un elemento comune tra musica e auto.
Sono tentato di dire: il denaro. Niente denaro, niente auto. Sì. E non so quanti altri elementi si possano trovare. Però, per quanto mi riguarda, musica e motori rappresentano una combinazione perfetta.
Eppure, tutto gioca contro. Dicono gli esperti che nemmeno la forma d’onda è comparabile: nella musica (suono) è molto regolare. Nel motore (rumore) molto irregolare. Lei ha “suonato” (con l’acceleratore) una Bugatti, mentre un pianista l’accompagnava alle tastiere. Che cosa permette l’accostamento?
L’apprezzamento di chi ascolta. Tecnicamente, è vero, un motore produce rumore, non musica, ma possiede una forza evocativa potente. Perché richiama alla mente ricordi. Quello della Maserati Birdcage, per esempio, mi fa ancora venire i brividi: 15, 16 anni fa ci ho vinto una gara, a Silverstone. All’ultimo giro, ultima curva, prima del GP. Memorie felici. Lo stesso vale per la musica. Almeno per me: perché fare musica, o gareggiare su un’auto, è sempre stato un piacere. Felicità è il denominatore comune.
Mason alla guida della sua Ferrari 250 GTO
La sua passione per le vetture come nasce?
Eredità di mio padre. Per lavoro (documentarista), gli capitava spesso
di riprendere gare. Mi ha portato a Goodwood (circuito sulla costa
meridionale dell’Inghilterra, famoso per revival storici, ndr) a dargli
una mano quando ancora portavo i calzoni corti.
E per la musica?
Come molti altri, è qualcosa che ho scoperto da solo. Ai miei tempi, il
rock and roll nessuno te lo poteva insegnare. Niente maestri: nella
generazione precedente non esisteva. Non voglio dire che sia sbucato
all’improvviso dal nulla, perché la storia della musica è continuità;
però, la versione del rock amata e suonata dai teenager di allora era
una straordinaria, insolita cosa nata negli anni 50. Finita la guerra, i
giovani si erano trovati a godere di una certa indipendenza: lavoro,
qualche soldo in tasca e la possibilità di elaborare una propria
cultura....
È strano pensare a qualcuno che, come lei, parte di un movimento
psichedelico, avesse allo stesso tempo la passione per le auto d’epoca.
Psichedelico e classico: così differente...
Etichettare non è molto efficiente. O importante. Una parte della musica
dei Pink Floyd è debitrice a quel tipo di cultura, ma è sempre stata
molto tecnica. Mai musica che vaga, che improvvisa. Esistono elementi di
spontaneità, soprattutto nei primi dischi, che ancora oggi mi
piacciono. Però non siamo mai stati una banda di hippy che giravano il
mondo in caravan. Quelli, non eravamo noi.
Si trovano nella musica dei Pink Floyd sonorità da “macchina”, molto scandite, molto meccaniche. È così in virtù di un progetto?
Non per farne una costante. Esistono brani in cui quella è stata la
strada. A volte, perché così chiedeva il testo, come in “Welcome to the
machine”. Soprattutto, la sperimentazione includeva loop, percorsi
ciclici, che favoriscono un’impressione di meccanicità.
Lei si è reso conto presto che la musica
avrebbe avuto una parte importante nella sua vita. Quando ha capito che
anche le automobili l’avrebbero avuta?
Molto, molto prima: soltanto quando la band è decollata, nel 1966, mi
sono davvero interessato alla musica. Essere una rockstar non era una
mia ambizione.
Perché le auto classiche?
Sono cresciuto in un ambiente che le apprezzava. Mio padre guidava una
Bentley d’epoca; ho respirato un’aria nella quale le vetture vintage
erano considerate oggetti meravigliosi. E preziosi. Culturalmente. La
mia prima auto è stata un’Austin Seven anteguerra.
Ha mai desiderato essere pilota professionista?
No. Ho cominciato a gareggiare, da dilettante, piuttosto tardi, nei
primi anni 70 (a 30 anni, ndr). Ho vinto qualche trofeo. Ma non ho la
sensazione di avere buttato al vento una carriera. Ci sarebbe voluto un
talento che non possiedo.
Ne ha avuto abbastanza per gareggiare a Le Mans. Che non è una corsetta da poco. E sottolinea un’autentica passione.
Ah, se è per quello, non c’è dubbio: amo le auto, amo Le Mans. Ma non mi
ci vedo proprio come un professionista che sgomita per la vittoria.
Nel 2008, Mason ha portato al Goodwood Festival of Speed un’Auto Union Tipo D modello 1939 ricostruita dall’Audi partendo dai disegni originali
Lei una volta ha detto: un’auto, per essere di qualità, deve possedere stile italiano, meccanica tedesca, pilota britannico. Non è una grande dichiarazione di stima per l’industria automobilistica del suo Paese...
(Mason ride. Ed è uno dei rarissimi momenti in cui apre la cortina di un’espressione altrimenti sempre compresa tra il severo e l’ironico). Credo che l’industria britannica abbia prodotto automobili stupende. Però con un management a volte modesto, un rapporto cattivo con la mano d’opera, e d’inglese è rimasto poco. Nonostante ciò, l’Inghilterra ha continuato a sfornare ottimi progettisti: Adrian Newey, Ross Brawn, John Barnard. Perfino la Ferrari ha il suo bel nucleo di collaboratori britannici.
In compenso, lei valuta – e forse sopravvaluta, in qualche caso – i piloti inglesi. Ha detto, una volta: “Apprezzo moltissimo le qualità di Michael Schumacher. Però, preferisco la personalità di Damon Hill”.
Vero. Qui, però, l’argomento è complicato. Schumacher è forse il pilota più completo mai apparso sulla faccia della terra. Possiede la capacità di Alain Prost di ragionare bene in qualunque condizione, buona o cattiva, e la stessa abilità di Hamilton nel trovare, quando necessario, quel poco più di velocità che serve. Però, è un po’ troppo “driven” (teso all’obiettivo, ndr). Capace anche di decisioni che, per il mio modo di vedere, non sono esattamente sportive.
Damon Hill è un chitarrista. Avete suonato assieme?
Sì. Non capita spesso che un pilota mostri talento per la musica. Però, quando ce l’ha... François Cevert, per esempio. Ottimo pianista. Quasi un professionista.
A lei non piace che si usi il termine “collezione”(sostiene che le auto vanno usate, non catalogate), per indicare le vetture che possiede, ma non ce n’è un altro. Comunque: quando acquistare auto è diventato collezionare auto?
All’inizio, semplicemente, ne vendevo una per comperarne un’altra. Come tutti. Poi, è arrivato un momento in cui mi sono accorto che avrei potuto permettermene una seconda senza rinunciare alla prima. Quando arrivi a questo punto, sempre che tu abbia spazio, le tieni. Ma non ho mai comperato un’auto giusto perché, assieme alle altre, “ci stava”. Ho sempre scelto vetture che desideravo guidare. Acquistate pregustando che cosa avrei potuto farci. Con le auto non esiste valore aggiunto nel raccogliere un insieme completo, come invece capita, per esempio, con i francobolli.
Quante vetture possiede, al momento?
Una quarantina. Sono state financo oltre 50.
La più anziana è vecchissima: una Panhard del 1901.
Esatto, ed è una vettura che terrò sicuramente per molto. È un oggettino che, quando va bene, va davvero bene.
Quaranta, e le guida tutte. Le ama tutte. Supponiamo che, per salvare il mondo, debba metterle all’asta, eccetto una. Quale terrebbe?
La Ferrari 250 GTO. Ci si può correre – e intendo davvero correre – oppure la si può guidare in una gara di regolarità. O, semplicemente, passeggiare per strada. Poi, ha segnato momenti importanti nella mia vita: ci ho accompagnato le figlie, quando si sono sposate.
Come mezzo d’uso quotidiano?
Per venire in ufficio, la motocicletta. Londra, sapete... Come auto, un’Audi RS6, perché ha le prestazioni di una vettura sportiva, ma se necessario c’infilo dietro il cane e la batteria nel bagagliaio.
Possiede anche una laurea in architettura. Un altro caso?
No: m’interessava fortissimamente l’argomento. Da qualche parte, devo avere ancora il mio bel pezzetto di carta. Avrebbe potuto essere il mio mestiere, se non fosse stato per la band.
Un paio di sue vetture sono esposte in musei.
Sì, sono prestate al Beaulieu National Motor Museum, di cui sono anche consigliere. Un’altra è nel Museo di Donington. Due sono state recentemente inviate in Spagna, per un’esibizione Ferrari.
Quando ha avuto l’idea di trasformare la collezione in un affare, e fondare il Ten Tenths Team (un’attività attraverso la quale affitta, soprattutto per la pubblicità, le proprie vetture e anche quelle di altri: in tutto, oltre 3.000 mezzi, ndr)?
Più di vent’anni or sono. Tutti coloro che amano le auto sono sempre in cerca di un’idea che pareggi un po’ i conti tra uscite ed entrate. Amici nel settore pubblicità mi hanno suggerito la strada, e gli affari hanno prosperato, per molto tempo. Adesso meno: i budget destinati agli spot sono diminuiti ovunque; poi, trovare auto particolari è molto semplice, con internet. In più, la pubblicità oggi deve realizzare la comunicazione in tempi molto contingentati. Quindi, messaggi semplici. Una vettura esotica – la Hispano Suiza, tanto per dire – in molti casi non servirebbe. Invece, una ragazza in una D-Type rossa o una coppia in una Morris 1000 definiscono in un colpo soltanto la situazione. Raccontare una storia in 30 secondi, significa che ogni immagine deve raggiungere il risultato. Noi, comunque, ci siamo.
Un set di percussioni che racchiude in un solo elemento le passioni di Mason: la musica e il Cavallino
Nel suo futuro, vede sempre vetture classiche?
Sicuramente. Esistono splendide auto moderne, ma per apprezzarle bisogna portarle al limite. Il che significa andare molto, molto veloci. Al contrario, con una vettura d’epoca si può raggiungere la zona divertimento ed essere ancora all’interno dei limiti legali. Poi, fascino a parte, devo tener conto dei miei 67 anni.
Lei ha scritto un paio di libri. Raccontano (l’ultimo è “Passion for Speed”) le sue vetture e contengono un Cd, con il suono del motore registrato in pista. Per sottolineare che l’auto è la protagonista, lei ama dire che si paga il Cd, e che il libro è gratis. Che cosa l’ha spinta a dedicarcisi?
Scrivere un libro vuol dire lavorare un sacco, per cui ci vuole più di una ragione per cacciarsi nell’impresa. Però, ho soprattutto ritenuto che potesse interessare raccontare perché amo le auto che possiedo, e che altri magari non possono permettersi. Poi mi sono accorto che ciascuno colleziona per motivi diversi. C’è chi è attirato dalla guida, chi dalla storia, chi dalla linea e dalla tecnica.
Ascolta musica, mentre guida?
Di solito no. Ascolto molto Radio4 (BBC: notizie, dibattiti, commenti, ndr). Non vado pazzo per la musica di sottofondo. Non consiglio a nessuno di ascoltarne durante il pranzo.
Nel brano “Learning to fly” si ascolta, sotto la musica, quello che sembra un dialogo tra pilota e torre di controllo...
È la registrazione del mio primo volo senza istruttore.
Insomma, ancora meccanica e musica. Lei, che ama le vetture d’epoca, come vede quelle del futuro?
Vivendo a Londra, spero saranno piccole. Se a benzina, in grado di fare 200 miglia con un gallone. Se elettriche, non faranno rumore: bisognerà provvedere.
Il Cd con il suono delle auto nello stereo? Scegliendo il motore che più ci piace?
Ci ho pensato...
Lei chiama Bob Dylan “God Dylan”, il dio Dylan, perché ha giocato un ruolo fondamentale nella musica...
Sì, più che altro per i testi.
Nelle auto, a chi attribuisce un ruolo paragonabile?
Per l’intero genere umano, direi la Ford T. Per me stesso, le Ferrari e le Bugatti, che hanno sempre avuto un grande contenuto tecnico. Per certi versi, anche le McLaren che, proprio come le Ferrari e le Bugatti, rappresentano il sogno visionario di un uomo, ovvero Ron Dennis.
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