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Le storie e le auto delle nostre estati: da quelle che hanno inaugurato la motorizzazione di massa a quelle che ci accompagnano tutti i giorni, o che popolano i nostri sogni e ci fanno guardare lontano. Buona lettura sotto l’ombrellone! E buone vacanze

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Marcello Gandini
Una star che detesta lo "star system"

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Se dico Gandini, a che cosa pensate? Probabilmente la maggior parte di voi risponderebbe “alla Miura”, oppure “alla Countach”. Due auto, due Lamborghini, diventate leggenda. E inscindibilmente legate al nome di Marcello Gandini, che oggi – il 26 agosto – compie 85 anni, unendosi a Ercole Spada, che li festeggia lo stesso giorno, e a Giorgetto Giugiaro e Leonardo Fioravanti che hanno effettuato lo stesso giro di boa rispettivamente l’8 agosto e il 31 gennaio. Un quartetto straordinario, figlio di un’annata, il 1938, altrettanto straordinaria nel generare talenti. O forse, i quattro sono piuttosto figli di un’altra epoca, in cui la temperie culturale generale e un’industria automotive meno standardizzata favorivano l’affermazione del genio individuale.

Quell’auto di plastica ignota ai più. Ma tornando a noi, per introdurre Marcello Gandini mi piacerebbe lasciare per un attimo in garage le due creature mitologiche sopra citate - Miura e Countach - e accendere invece i riflettori su un progetto minore, che in pochi conoscono ma che illustra la versatilità del designer torinese. Un’utilitaria, di plastica, pensata all’inizio degli anni 80, per il marchio Renault (con cui Gandini stava già collaborando per la Supercinque, erede della R5). Si dice che l’italiano l’abbia presentata ai francesi semi-smontata e l’abbia rimessa insieme davanti ai loro occhi in meno di un’ora, per dimostrarne la facilità di assemblaggio grazie anche alla riduzione del numero di parti. Pare tuttavia che Parigi abbia riservato all’idea un’accoglienza tiepida. Così non se ne fece nulla, e il progetto non fu mai comunicato alla stampa. Un decennio dopo uscì la Twingo. Casualmente la famosa mini-Mpv della Losanga rivelava diversi elementi di somiglianza, almeno in vista laterale, con la citycar di plastica di Gandini, come dimostra una foto su cui Quattroruote riuscì a mettere le mani nel 2013 (che qui riproponiamo).

Una star che detesta lo "star system"

I suoi valori: autenticità e onestà. La semplicità, la leggerezza, l’autenticità delle soluzioni meccaniche (e l’onestà nel disegno che dovrebbe conseguirne) sono stati driver fondamentali del lavoro di Gandini. Con gli ingegneri ha sempre avuto un ottimo rapporto, perché in qualche modo parla la loro stessa lingua, appassionato com’è di tecnica. Delle auto contemporanee dice che pesano troppo, delle elettriche che - sul piano dello stile - non sfruttano appieno l’occasione che il loro diverso layout ci sta offrendo sul piano progettuale, delle auto popolari che popolari non sono, perché non fanno abbastanza ricerca sul contenimento dei costi, con trovate originali. In generale attacca il conformismo e l’omologazione, più delle idee che delle forme. Delle forme è, per lui, una conseguenza dell’assenza di idee. “Le auto belle? Le vedi subito, non c’è bisogno di far passare mezzo secolo. Prendete una macchina come la Citroën DS, già sessant’anni fa, e oltre, quando fu presentata, si capiva che avrebbe lasciato un segno profondo: era la macchina che ciascuno avrebbe voluto realizzare, simbolo di completa libertà progettuale da parte di Flaminio Bertoni”.

Lontano dai riflettori. Gandini è sempre stato schivo, forse un po’ timido, poco felice di rilasciare interviste. Con Quattroruote, però, è sempre stato molto disponibile. Io stesso l’ho intervistato due volte, a distanza di tempo. Più tardi, anni dopo, lo incontrai casualmente a casa di Chris Bangle, nelle Langhe. Schivo come sempre, se ne stava un poco in disparte, e pareva un pesce fuor d’acqua nel contesto di quella festa. Sono convinto che una parte neppure così marginale dei numerosi invitati, almeno di quelli più giovani, non lo abbia neppure riconosciuto, non si sia resa conto che quel signore discreto, in un angolo, dentro un dolcevita variopinto che malcelava la timidezza di chi lo indossava, era una leggenda vivente del car design, il papà della Miura e della Countach.

Una star che detesta lo "star system"

Il “fenomeno” Miura. La riservatezza e l’umiltà, del resto, fanno parte dell’approccio del personaggio, che ha sempre minimizzato la grandezza della propria opera. Sulla Miura una volta mi disse: “Credo che il suo successo sia andato al di là dei suoi meriti. Quando la presentammo al Salone di Ginevra del 1966 ero pieno di dubbi, sull’accoglienza che sarebbe stata riservata alle ciglia sui fari, sull’accuratezza dei dettagli in un’auto realizzata in grande fretta… Ma la reazione del pubblico al Salone fu straordinaria: tutti restarono a bocca aperta. Vuol dire che è arrivata al momento giusto, che ha saputo incontrare il gusto della gente”. Poche volte si è lasciato invischiare in polemiche pubbliche. Una, di recente, è stata in occasione del lancio, nel 2021, da parte della Lamborghini, della Countach LPI 800-4, omaggio in tiratura limitata al capolavoro del 1971.

“I remake? Non fanno per me”. Il designer ha affidato a una nota ufficiale il suo pensiero: “In qualità di autore e creatore dell’opera originale, affermo che il rifacimento, del quale non ero al corrente, non rispecchia il mio spirito e il mio modo di vedere”. La ragione? Presto spiegata: “Ho costruito la mia identità di designer, in particolare per ciò che riguarda le supercar create per Lamborghini, sul concetto (che) ogni modello doveva essere completamente diverso dal precedente”. Al di là della discussione contingente, l’episodio è illuminante sulla filosofia del design di Gandini, che ha permesso la nascita di tanti capolavori: la ricerca del nuovo, a livello di contenuti tecnici o pratici, con lo stile che a tali novità è chiamato a dare una forma. Anche sulla showcar del 2005 che omaggiava la Miura, pure firmata da un altro grande dello stile, Walter de’ Silva, Gandini era rimasto tiepido. Non sul piano formale, ma su quello sostanziale. “È bella - disse allora - però i remake perdono di vista una questione fondamentale: gli originali erano pieni di idee nuove, di soluzioni che segnarono delle svolte. I cloni sfoggiano bei vestiti e poco più. Ogni auto è figlia del proprio tempo”. Difficile controbattere.

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