Si potrebbe quasi definire un testamento la lectio magistralis pronunciata da Marcello Gandini il 12 gennaio 2024, due mesi fa, al Politecnico di Torino, che lo ha insignito della laurea honoris causa in Ingegneria meccanica. Lui che da giovane diplomato di liceo classico aveva rifiutato il percorso universitario previsto dai genitori per perseguire la sua passione.
Formidabili quegli anni. Dentro c’è tutto, dagli aneddoti della vita professionale, soprattutto nella prima difficile fase, al ritratto di un’epoca, quella degli anni 60 e 70, segnata da una straordinaria energia creativa, da momenti decisivi come l’assunzione alla Bertone, frutto di uno dei colpi di genio di quell’incredibile scopritore di talenti che fu Nuccio Bertone, alla visione un po’ più filosofica del design. Una visione, personale, originale, a tratti poetica, ma mai astratta: maturata negli anni da un uomo che è sempre stato concreto, semplice, persino schivo, come sanno tutti quelli che lo conoscevano. E che, forse proprio per questo, ha sempre lasciato parlare di più le sue creazioni. E agli studenti che erano in platea affida un messaggio molto “gandiniano”: “Per rispettare il passato, non copiatelo mai. Battetevi per non fare ciò che altri hanno già fatto, non ripetete nemmeno voi stessi”.
L’automobile, che magia. Pubblichiamo la lectio integralmente, per il suo grado di interesse. Affidando il ricordo di questo straordinario interprete del design dell’automobile alle parole che, nella sua trattazione, Gandini ha dedicato all’oggetto del suo lavoro e della sua passione: “L’automobile è un sogno, un desiderio, durato millenni. È per metà un tappeto volante e per metà una casa. È l’oggetto magico che ci dona la libertà di andare in un istante ovunque vogliamo (…) , spazio che si muove insieme a noi. È libertà. Individuale. È anche espressione del lato romantico della meccanica: ovvero l’estensione psicologica delle possibilità fisiche”.
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